ORSORELLA E GLI ALTRI - PIETRO MORETTI

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Nonna, raccontateci la storia!
Ma io sono stanca devo andare a letto... quale volete?
Quella della palomba! quella della palomba!
Guardate che quella della palombella è più lunga e più bella...
Allora raccontàtece quella della palombella!
Guardate che quella della palomba è più bella e più lunga.
Sette otto dieci volte fino a che arrivava il sonno.


Banda del Racconto
Davide Ghaleb Editore
Work[in]Co

Presentano

ORSORELLA E GLI ALTRI
FIABE LATERESI RACCONTATE DA PIETRO MORETTI

Fiabe lette e musicate da Alfonso Prota, Carlo Sanetti e Marco D'Aureli

Tratte dal libro Orsorella e gli altri (Davide Ghaleb Editore) a cura di Marco D'Aureli, con illustrazioni di Alfonso Prota
 
Giovedì 19 settembre dalle ore 19.30
presso

Work[in]Co

Via Aurelio Bacciarini 33, 00167 Roma
 
INGRESSO GRATUITO

 

SCHEDA LIBRO


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Pietro Moretti, l’infanzia infinita Il corpo di un vecchio, gli occhi di un bimbo. Parole popolari. Le cose di un mondo povero: povere, appunto, ma meravigliosamente animate e metamorfiche. Animali parlanti, oggetti vivi. Le fiabe sono vere. Le fiabe non hanno tempo, le storie non hanno età, sono per tutti. «Orsorella», terzo volume della collana «Banda del Racconto», raccoglie quattro bellissime fiabe Lateresi raccontate da Pietro Moretti e illustrate da Alfonso Prota. Un libro per ragazzi, un libro per adulti che hanno voglia di raccontare storie, imparare a farlo, ricordare come si fa.

Pietro Moretti, l’uomo delle fiabe «La novella nun è bella, se sopra nun ci si rappella» (proverbio toscano) La novella non è bella se non ci si ricama sopra, dunque. Saggezza popolare. Nelle Città invisibili di Calvino ci sono tre vecchi pescatori che, seduti sul molo a rammendare le reti, si raccontano per la centesima volta una certa storia. Da quella immagine il lettore si rende conto che una città è nient’altro che racconto. Racconto è comunità. Racconto è civiltà. Pietro Moretti da Latera, classe 1929, è il primo dei nostri pescatori. Pietro ha ormai conquistato, per diritto d’anagrafe, la saggezza e la pietas del vecchio di paese, ma nei suoi piccoli occhi, vivi e birbi, scintillano ancora l’infanzia senza fine e il sorriso malizioso di Peter Pan. E lo rivediamo incantato, in grembo alla nonna, mentre gli racconta le «storie de ’na volta»: «Eravamo entusiaste, pareva de toccàlle co’ le mano, certe cose, ce pareva che uno doveva fa quella vita, certe fijje de re»; sognando d’incarnare, un giorno lontano, il destino di qualche personaggio; immerso, nella vita d’ogni giorno, fra animali parlanti e cose animate. Perché nel suo mondo magico la parola è cosa essa stessa. La massima di Italo Calvino, «le fiabe sono vere», potrebbe sembrare dedicata a lui: «Non pare, ma c’è gente grande che ancora crede alla befana!» egli racconta. In seguito avrebbe imparato e raccontato a sua volta quelle «storie»: tutti insieme, nel lettone matrimoniale, alla moglie e ai figli. E, più tardi, ai nipotini. Magari incastrando un cuscino tra letto e comodino se non c’era posto per l’ultimo arrivato. E proprio quelle fiabe, quegli eventi meravigliosi sarebbero divenuti pietra di paragone per garantire misura e senso alla durezza della vita contadina: così che una storia di vita vissuta (7 orfanelli in carne ossa, accuditi a turno dai familiari di Pietro) diventa «come quella de Cappuccetto Rosso»... Ma oggi che anche i nipoti si sono fatti grandi, sembra che più nessuno abbia pazienza per le storie: «Da quanno è uscita fòri la televisione! So’ troppo lunghe, dice, s’annojjano» e all’improvviso, mentre pensavamo di parlare del passato, ci ritroviamo nel presente.