Davide Ghaleb Editore


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IL RAGAZZO DAI SALI D'ARGENTO
Claudio Bassi dentro e fuori la camera oscura
Enrico Campofreda

Presentazione
Simonetta Ramogida (giornalista)


Claudio esce dalla camera oscura, ha un camice bianco, fa un cenno come a girare la testa con soddisfazione e mi dice: “Bella Simonetta”... Non si riferisce a me. Parla della foto che ha appena stampato. Io cerco di scrutare dentro quella stanza buia ancora odorante di acidi e vedo le pellicole appese ad asciugare, tra bagno d’argento, fissaggio, lavaggio e stampe finali. “Sono le foto del film La vita è bella di Benigni” sento tuonare nella stanza con tipico accento romano, ma Bassi lo dice con assoluta normalità a me, che non credo ai miei occhi, e che non ho più dimenticato quel momento. Lui ha appena finito di esaminare le pellicole con la lente, osservando, selezionando ogni fotogramma per le prove di stampa. “Claudio devo fare una mostra fotografica sui profughi al centro di Sant’Anna di Crotone per il centenario della Croce Rossa Italiana. Mi puoi stampare le foto?” Mi scruta e mentre gli sto per porgere i rullini rigorosamente in bianco e nero e chiede: “Ma io e te come ci siamo incontrarti?” Voleva sapere chi mi avesse indirizzato a lui ma erano già una decina d’anni che ci conoscevamo. Lo guardo sorpresa per quella domanda che non m’aspettavo e gli rispondo: “Vezio Sabatini”. Un colpo al cuore. Per lui e per me. Vezio era tra i migliori fotoreporter di Roma, lo avevo conosciuto sul lavoro. Davanti Palazzo Chigi, dove stazionava per ore in attesa che uscissero i ministri per fotografarli e io pure, dovendo seguire le riunioni del governo. Vezio i volti della politica li conosceva tutti. Noi giornalisti ci rivolgevamo a lui quando non riuscivamo a individuare qualcuno che varcava il portone di Palazzo Chigi. Non era mai impreparato. I fotoreporter prima di recarsi davanti Palazzo Chigi studiavano sui giornali i volti di ministri, sottosegretari, parlamentari. Non c’era ancora Internet. Era tutto più difficile. Una mattina finalmente trovai il coraggio di chiedere a Sabatini dove stampava le sue foto che erano bellissime e che poi trovavo pubblicate su L’Espresso. Mi parlò di quello studio ai Parioli, dietro Piazza Verdi. Così quando pronunciai quel nome, Claudio ancora una volta sentì quel dolore per la scomparsa dell’amico e io pure. Le immagini che a poco a poco si svelano tra le mani di Bassi, che abilmente manovrano le pinze immerse nelle vaschette piene di acidi, rappresentano la vita politica di Roma, il cinema, la Dolce Vita, le manifestazioni degli anni Settanta, il meridionalismo e la fotografia antropologica che si celebrava per la prima volta in quel periodo e che metteva in grande spolvero la nuova questione meridionale sulle orme della Storia delle tradizioni popolari e degli studi parigini dell’etnologo Claude Lèvi Strauss. Così il laboratorio di Claudio diveniva un crocevia di cultura in un fervore di luoghi, appartenenze, studi, interferenze di cui la sua abilità professionale prendeva nota e tutto restituiva dando forma alle foto che li rappresentavano. Nei giornali si riconosceva ormai il primato dell’immagine sulle parole. Non c’era bisogno di aggiungere commenti, didascalie agli scatti che Claudio stampava e che, visti oggi, rappresentano un pezzo della storia politica e della cultura del nostro Paese. La vita professionale di Bassi s’intreccia con la storia della fotografia a Roma perché lui ha stampato per i maggiori fotografi italiani e internazionali. Anche Malena di Tornatore, Todo Modo di Petri, Cadaveri Eccellenti di Rosi sono solo alcuni dei film di cui Claudio ha ispezionato i fotogrammi scegliendo le inquadrature migliori da sottoporre ai registi.

Questo libro nasce dall’incontro con Enrico Campofreda che minuziosamente ha raccolto i ricordi, le suggestioni, le emozioni, i frammenti di vita di Claudio e il suo rapporto con la fotografia. La storytelling capovolge così la relazione tra testo e immagine, perché questa volta non si parte dalla scrittura per interpretarla attraverso l’immagine, ma è invece la fotografia stessa che si fa testo, al punto che nel racconto di Campofreda ogni paragrafo risulta talmente denso di emozioni da essere vissuto da chi legge come una sceneggiatura. Impossibile non entrare fino in fondo nel racconto, immaginandolo quasi scena per scena, in una declinazione che proprio nelle sceneggiature racconta: Interno n.1… pomeriggio… laboratorio via Martini, Parioli, Roma… E così di seguito. Melodie narrative e visive. Questa volta la scrittura trae ispirazione dalle immagini e il racconto nasce dalle suggestioni che esse evocano. Anche la scelta di usare in alcuni ambiti il romanesco come linguaggio risulta vincente perché rende Claudio e gli altri personaggi assolutamente reali in un sentiment indissolubilmente legato alla fotografia e alla vita che si dipana nella Città Eterna, mentre la cronaca si fa Storia. C’è però un altro piano di lettura di questo lavoro che non è un libro di fotografie, anche se contiene immagini, ma è testimonianza storica e culturale di un periodo fervido di idee e intuizioni che proprio nella fotografia trovano il loro contenuto. Questo secondo livello è relativo alla lettura attraverso le fotografie pubblicate nel libro che sono nell’archivio storico di grandi fotoreporter e spesso rappresentano scatti artistici, ribaltando il concetto che solo fino a pochi decenni fa distingueva i due ambiti: la fotografia di reportage e la fotografia artistica. Sebbene qui non si tratta di leggere le immagini ma di riconoscere nel lavoro di Claudio, raccontato con dovizia di particolari nel libro, un pezzo della Fotografia con la maiuscola della poliedrica Roma piuttosto che il racconto di come Bassi ha vissuto la sua professione. Di sé dice d’essere “solo uno stampatore”, in realtà Bassi è un’artista che alla fine è riuscito a tirare fuori dal cassetto pure i fotogrammi personali che più lo rappresentano. Leggendo il libro di Campofreda anche chi non conosce questo storico stampatore può venir catturato dalle sue vicende personali. Con ritmo incalzante l’autore conduce il lettore quasi per mano nei luoghi in cui la storia della fotografia dagli anni Sessanta fino ai nostri giorni s’intreccia con quella personale di Claudio, artigiano e artista, che ama il popolo minuto. È una meditazione sulla vita attraverso quella luce, la luce di San Lorenzo dove Bassi è nato, che “è sempre stata la sua luce”, come diceva il gigante della Leica Mario Dondero. Sullo sfondo di quelle foto il quartiere degli edili, l’infanzia dei ragazzini romani degli anni Cinquanta com’è stato Bassi stesso, il lavoro minorile dei Settanta e poi la Sardegna, il Mezzogiorno. Tutta la sua poetica nell’attimo che non sfugge ma si ferma e si fa eterno. Claudio nel suo laboratorio ha appeso al muro un’opera di Tano D’Amico. È la ragazza col bavaglio del ‘movimento Settantasette’. Quella foto gli piaceva tanto e sulla parete del suo laboratorio la vide Agnese De Donato, una giornalista e fotografa che fu tra le fondatrici della rivista femminista Effe. La pubblicò. Lo scatto divenne famoso e fece il giro del mondo. Come quello di Gianni Giansanti che giunse nella centralissima via Caetani quando venne scoperto il cadavere di Aldo Moro accasciato nel bagagliaio della Renault 4. Anche quella foto fu stampata da Claudio. Nelle sue mani è passata quella cronaca che s’è fatta storia. In una sorta di sodalizio Enrico Campofreda e Claudio Bassi con questo libro restituiscono un affresco che si presta a vari livelli di lettura. Quella artistica, quella fotografica, quella cinematografica, quella sociologica, quella politica. Tutto è documentato con le immagini pubblicate e gentilmente concesse dagli autori, a volte dagli eredi. E poiché le scoperte non finiscono mai ho avuto conferme di quanto sapevo: Claudio è nato a San Lorenzo, come mi aveva sempre detto, ma non mi aveva svelato che la sua casa era in via dei Campani e che era cresciuto tra le macerie del bombardamento del 1943. L’ho appreso leggendo questo libro. Io di quel drammatico luglio ne avevo sentito parlare da mio padre che da ragazzino aveva perso la casa, ma per fortuna in famiglia tutti s’erano salvati. Ora che ci penso, quella casa era in via dei Campani ed è stato proprio papà a insegnarmi sin da bambina l’amore per la fotografia. È proprio vero che alcuni incontri sono magici e si conservano nel tempo.