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YEMEN SCOMPARSO

Tra la gente e mura – fotografie 1982

Marco Felici

Presentazione
Antonello Ricci

«La città mi apparve bellissima, con le sue alte e grandiose case, tutte costruite in pietre dal colore grigio e il rosso bruno dei mattoni a vista, con le finestre che erano la decorazione principale, i frontoni, le sagome a ricami in bianco, facevano un effetto davvero magnifico.» È il dicembre del 1982, Marco Felici parte per lo Yemen. La scintilla: il desiderio-curiosità accesasi in lui alla visione del celeberrimo documentario pasoliniano Le mura di Sana’a (realizzato con improbabili scampoli di pellicola nel 1971). [Delle tracce e del discorso politico-antropologico di Pasolini a Sana’a discorre con intelligenza critica, doviziosa perizia e cura del dettaglio Enrico Campofreda nella Presentazione che il lettore incontrerà qui di seguito.] Eppure, una volta sul posto, nell’istante stesso in cui Marco si concentra e “guarda” quel mondo per il tramite dell’obiettivo di certe sue «vecchie fedeli Nikon F» (restituendocele poi, a decenni di distanza, come purificate dal tempo trascorso-e-perduto, in questo prezioso libro-galleria) qualcosa accade: accade che il suo sguardo “intercetti” altro, infinito altro (e anche: intercettandolo in altro modo). Di che cosa si tratta? E per quali diversi modi? È l’autore stesso a rendercene conto: quel miracoloso «mosaico di compiuta bellezza che era la vita quotidiana nelle strade» di Sana’a. Laddove Pasolini aveva lavorato di contrappunto, alternando visioni urbane e presenza umana, vedute di palazzi-e-mura e ritratti di uomini-e-comunità; nel suo intenso florilegio di scatti, Felici lascia in secondo piano torri di mattoni cotti e alabastri, cornici lavorate di portali e finestre, magari li scontorna come dettagli di sfondo, concentrandosi su donne, uomini, bambini. Le loro azioni. Le loro pose. Qualcuno di loro fissa l’obiettivo, altri sembrano guardare altrove (eppure...). Uno splendido campionario di pugnali tribali ricurvi fieramente ostentati, di fucili a tracolla e sorrisi in posa, immancabilmente smargiassi e cordiali. Scatti “rubati” (sempre nel segno del rispetto) di donne in abiti da Mille e una notte, elegantissimi e colorati e veli di solenne-commovente pudicizia . Poi ci sono i gesti e i mille-e-mille riti prossemici al mercato. Considerateli attentamente. Mercanzie sul banco e alambicchi in spalla. Distese di verdure e ortaggi, spaccapietre e barbieri al lavoro. Ma, soprattutto, gli occhi dei bambini: quei loro occhi immensi, più che grandi, infebbrati di vita, immensi e implacabili. E imbarazzanti, soprattutto, per la loro innocente malizia. Quegli occhi si ostinano a interrogarci su risposte inevase: chiamando in causa il giovane fotografo di allora, ma anche oggi noi tutti. Perché ciò che è stato potrebbe sempre tornare. E sembra tornato, infatti, ahimè.