DANTE A VITERBO? - BULLICAME
 
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Immagini effettuate durante la passeggiata/racconto tenutasi al Bullicame (VT) il 3 Luglio 2013. (foto di D.Ghaleb)


Le gore che si derivavano dal Bulicame – ancora visibili, per larghi tratti, tra Orto Botanico e strada provinciale Tuscanese – prese a pietra di paragone per evocare il Flegetonte: il fiumiciattolo infernale di sangue bollente, ove per limpido implacabile contrappasso stanno a mollo le anime di coloro che in vita versarono l'altrui sangue.
E quelle donne che se ne «partivano» le acque: saranno state prostitute «peccatrici», bandite dal diritto di attingere alle fonti cittadine o, più semplicemente, contadine viterbesi madri di famiglia pezzatrici («pettatrici») dell'umile canapa e del prezioso lino locale?
C'è poi la boscaglia maremmana. Regno secolare incontrastato di cinghiali e briganti (Tiburzi, nel tardo Ottocento, ma anche il collega e trisavo Rinier da Corneto, che alle strade fece tanta guerra proprio ai tempi di Dante e Farinata). Essa, segnata da nessun sentiero, dovette parere al poeta come la similitudine più adatta a evocare – seppur per difetto – nella fantasia del lettore medievale l'orrore della intricata selva dei suicidi.
Infine un papa francese goloso da morire: Martino IV. E un menu da purgatorio: anguille affogate nel latte, poi scorticate e rosolate nella vernaccia (o non sarà stato piuttosto l'est-est-est del ciucco Defuk?). E una fantomatica prigione per chierici evocata in paradiso: detta la Malta, tanto era orribile e fangosa. Ma chissà dov'era veramente. A Cittadella di Treviso (voluta dal feroce tiranno Azzolino Romano) o nel ventre rimosso di Viterbo (come certificò Niccolò della Tuccia, cronista viterbese del Quattrocento)? Sulle rive del lago di Bolsena, forse. Ma, a Marta presso la bocca dell'emissario omonimo (dove le anguille si sono coltivate fino a non troppo tempo fa) o nel perimetro recluso di una delle sue due pittoresche isolette? Sulla placida e coltivata Bisentina dei Farnese o sulla scogliosa e impervia Martana, reclusorio di donne sfortunate (al pari della Pia de' Tolomei)? Santa Cristina martire o la regina-martire ostrogota Amalasunta?
Occuparsi di paesaggi locali nella Comedìa dantesca non è bagattella da localisti. Perché a inseguire maremme e bulicami, macchie inestricabili e ingressi d'averno, anguille e vernacce, prigioni che affondano nel fango, il lettore contemporaneo potrebbe finire per ritrovarsi nel centro del più grande libro mai scritto da un cristiano...