LA CERAMICA DELLE FAMIGLIE CASTELLANI E FABRI
A cura di Giovanna Caterina de Feo
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Abbiamo conosciuto Giorgio Saraceni più di dieci anni fa, durante l’inaugurazione di “Fornaci d’arte” al Museo della Città e del Territorio. Anche allora si trattava di una mostra a cura di Giovanna Caterina de Feo, ma sulla ceramica di Randone e Cambellotti tra Roma e Vetralla, e sui rapporti con la produzione della ceramica vetrallese.
Alla fine della giornata ci fermammo a parlare insieme e, quasi subito, si profilò l’idea di pubblicare un libro per studiare come un unico corpus le ceramiche della sua famiglia. Ciò anche se, ad una successiva analisi, la collezione non presentava quei caratteri di sistematicità delle grandi raccolte, basate sul principio di selezionare e scegliere “fior da fiore” quel che di meglio era stato prodotto da un autore o da un gruppo di artisti di un determinato periodo, ma si trattava di una serie eterogenea di materiali, relativa a un lungo lasso di tempo in quanto realizzata da tre diverse generazioni di artefici. Queste ceramiche possedevano più i caratteri tipici dell’oggetto di famiglia, che viene tramandato nel tempo, custodito con cura e lasciato ai posteri.
In un certo senso Giovanna Caterina de Feo ha realizzato una sorta di “archeologia domestica”, uno scavo all’inverso, partendo dalle cose più conosciute degli anni Settanta del secolo XIX per arrivare, con l’inedita produzione di Emma Fabri, fino al Novecento avanzato. Come ben esprime la curatrice del volume nel suo capitolo introduttivo, la manifattura ceramica dei Castellani Fabri ben riflette lo spirito innovativo di un’epoca che, tra Ottocento e Novecento, si muove in un repertorio iconografico che recupera temi del passato ispirandosi all’antico, soprattutto attraverso il mondo orientale. Il ruolo di questi artefici /artisti fu fondamentale, per la loro dovizia esecutiva ed originalità interpretativa, nel lanciare quella moda d’ispirazione ispano-moresca che condizionò molte botteghe italiane fino al XX secolo inoltrato.
Adesso che, per la pubblicazione di questo volume, le ceramiche sono state fotografate, studiate e contestualizzate, esse rivelano una caratteristica che le rende uniche. Infatti sono interessanti non solo per il piatto con le grottesche di Torquato Castellani o per il San Michele Arcangelo di Pio Fabri, ceramiche rare e impareggiabili per difficoltà esecutiva, ma lo sono nel loro insieme, proprio per le più recenti creazioni di Emma Fabri.
L’insieme di queste ceramiche racconta, quindi, un mondo che suggerisce diversi spunti di riflessione: da quello preliminare, sui cambiamenti di gusto intervenuti nel tempo, a quello dell’evoluzione delle modalità tecniche ed esecutive di ciascun oggetto, a quello del mutamento del ruolo sociale delle artefici donne che, pur sentendosi mogli e madri, non volevano rinunciare di essere anche artiste. Quest’ultimo aspetto, soprattutto, si segue molto bene sia nelle opere di Emma Fabri, prima e dopo le nozze con il Saraceni, che in quelle della cugina Olga Castellani; ambedue pur rivelando una forte conoscenza delle tecniche e dei repertori moreschi “di famiglia” rivestono i loro manufatti di uno spirito completamente nuovo. Meriterebbero una più precisa e ulteriore indagine in questo senso, ad esempio, i polittici formati da tre o più mattonelle di Emma Fabri dove oltre al paesaggio, all’architettura, qui simbolicamente rappresentata da elementi vegetali, ed ai personaggi, è la “storia” che diventa protagonista della rappresentazione.
Il pregio e il taglio inedito di questo volume, che sono lieta, dopo tanto tempo, di presentare è dunque in questi importanti elementi innovativi che, quasi sottovoce, Giovanna Caterina de Feo lancia, ma spero continuerà ad affrontare ed approfondire.

Elisabetta De Minicis