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LA MACCHINA DELLA CITTÀ DI VITERBO
Augusto Zucchi


Introduzione
Augusto Zucchi

Nel momento in cui ci si interroga sul rapporto tra scienza e fede, spesso ci si imbatte in attività umane che mettono in relazione l’arte, la tecnologia e la religione e quando avviene ciò ecco che l’uomo è capace, nonostante i vizi e le debolezze radicati nel suo animo corrotto, di realizzare opere straordinarie, che travalicano il tempo e lo spazio e che mirano all’Assoluto. Dopo diversi millenni ci meravigliamo della straordinarietà delle piramidi d’Egitto, opere che ancora oggi sarebbero irrealizzabili, eppure ci dimostrano che unendo arte, tecnologia e religione possiamo elevarci ad una condizione di superiorità, migliore di quella fondata solo sui bassi istinti, di uomini mossi al soddisfacimento del proprio ego ed alla sopravvivenza fine a sé stessa. Einstein ebbe a dire: “La scienza senza la religione è zoppa, la religione senza scienza è cieca”. La storia di Santa Rosa sembra confermare le parole dell’illustre scienziato e soprattutto ci insegna che non si vive «di solo pane» come ci insegna il Vangelo, l’uomo tende all’assoluto per natura, e attraverso le sue opere può migliorarsi ed elevare addirittura un’intera comunità, nella quale ognuno può a seconda delle proprie capacità, apportare anche un minimo contributo. Tale opera vuole rappresentare uno slancio riflessivo su quello che ha rappresentato e ancora rappresenta per un’intera comunità il corpo ed il cuore di Santa Rosa, conservati gelosamente nel Monastero che porta il suo nome, ma allo stesso tempo analizzare quanto la sua opera in vita ed il suo spirito, secolo dopo secolo, hanno ispirato ed ispirano i viterbesi e non solo, nel percorrere una strada irta di ostacoli per realizzare un’opera, la Macchina di Santa Rosa, che non è solo un oggetto fisico di straordinaria bellezza, ma racchiude in sé una serie di significati antropologici, sociologici e religiosi che cercherò di indagare per tutta la mia vita.