LA QUERCIA DEL CONSIGLIO - Giancarlo Luzi
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Prefazione
di Giancarlo Luzi


Forse chi avrà la pazienza di leggere queste mie pagine si chiederà, magari conoscendomi, quale possa essere stata la ragione che mi ha indotto a scriverle.
È una domanda che anch'io mi sono più volte posto.
La risposta è complessa.
Arrivato a questo punto della mia vita al galoppo, con una professione che mi ha imposto per vari decenni ritmi di lavoro forsennati che hanno assorbito gran parte del mio tempo e delle mie energie fisiche e mentali, era tutto un rigalleggiare nella mia memoria dei ricordi di un passato sempre più lontano.
Si trattava di quei ricordi che si posano nell'animo fin dall'infanzia più remota, che si arricchiscono nel tempo distillati dalla vita, sui quali per tanti anni hai riflettuto, che sono lì come una sorta di universo vagante nella mente che ti accompagna nel fluire del tempo.
Un universo che però era assai ben delineato, in quanto costituito da ricordi veri di fatti avvenuti, di persone vissute; tutto un mondo che dunque era lì come le pagine di un libro che il vento furioso della vita aveva però strappato alla rilegatura originaria e che fluttuavano libere nella mia mente.
Le pagine di un libro che andavano quindi ricollocate nel loro ordine per evitare che il solito vento, sempre più impetuoso, le portasse troppo lontano per poter essere completamente recuperate dalla memoria.
Già, la memoria; Costanza che è stata la prima a conoscere i testi dei vari racconti man mano che nascevano, fra le varie osservazioni ne ripeteva una in particolare.
– Ma come fai a ricordarti tutto?
Bella domanda!
Certamente la memoria è indispensabile e ringrazio Dio per avermene data una buona che tanto mi è stata utile nella mia professione; ma qui non si trattava solo di ricordare come avviene per i processi, qui bisognava anche amare.
Nei racconti non c'è odio, rancore, recriminazioni; ovviamente nei miei ricordi vi sono anche numerosi individui spregevoli, vigliaccate solenni, ingiustizie patite, malefatte varie ma di questo ho preferito non parlare.
Non ho voluto né giudicare né condannare nessuno, solo Dio conosce il cuore degli uomini e il mio verdetto poteva essere condizionato dal sentimento o errato per mancata valutazione di elementi che non conoscevo bene o non conoscevo affatto.
Ovviamente non tutto quello che ho conosciuto è nelle pagine che seguono; vi sono anche tante altre persone, alcune molto care, altre tanto significative, con le vicende della loro vita delle quali non ho parlato. Chissà, forse lo farò in futuro.
Certamente vi è un mio evidente giudizio sui vari personaggi che emergono dai racconti ed è in genere un giudizio positivo ad eccezione della vicenda dell'avvocato Porta.
In quel racconto mi sono limitato a riferire il giudizio di mio padre e dei parenti su quella persona, giudizio poi perfettamente coincidente con quello di un paese intero, come poi negli anni ho avuto modo di constatare.
Ma anche il l'avaro di Capranica era solo una vittima che si inflisse sofferenze invece di elargire a sé stesso dei piaceri, per cui anche lui non può che essere ricordato con malinconia.
Sono stato troppo buono?
Chi leggerà giudicherà; da parte mia ho solo cercato di rappresentare il vero anche se, ovviamente, nella rappresentazione della mia infanzia la venerazione che ho per il ricordo dei miei genitori ha avuto il suo peso.
C'era poi un altro elemento importante che mi ha indotto a scrivere ed era di impedire che tutto svanisse nel nulla, che quel passato fosse inghiottito dall'implacabile tempo che tutto oscura per dirla con Leopardi.
Quel tempo che è come un grande ragno che fila intorno alle vite una tela fitta e polverosa, avvolgendole e riavvolgendole fino a coprire tutto.
Ogni volta che andavo al cimitero di Ronciglione e passavo avanti alla tomba di zio Peppino, ivi ricordato solo da un nome, un cognome e due date, mi chiedevo se all'immensa ingiustizia che lui aveva subito in vita, dovesse sommarsi anche quella dell'oblio.
E dentro il mio cuore una voce diceva forte di no, così come la stessa voce diceva di no di fronte all'oblio che incombeva sulle altre persone ricordate, sugli episodi in cui si compendiava la loro vita apparentemente modesta.
Quel no è quindi all'origine di questo lavoro.
È pure evidente che ho inteso esaltare gli ideali e i valori di chi mi ha preceduto e che sono anche i miei.
Il mio carattere è stato forgiato da mio padre e ingentilito da mia madre, ma in esso sono presenti in dosi notevoli anche i miei nonni, zio Peppino, zio Raffaele, zio Vitaliano, il colonnello Chiti, padre Basilio e, via via, le varie persone descritte nei racconti e tante altre.
Stabilire poi quanto in ognuno di noi incida quel che vi pongono gli altri, quanto vi mettiamo noi e in che modo l'intero venga poi miscelato dalla complessità della vita, dalle esperienze, dalla nostra personalità è davvero arduo.
C'era poi un altro elemento importante; in quasi 35 anni di professione forense non ho fatto quasi altro che scrivere perché lo scrivere, anche nel penale, è l'essenza del nostro lavoro.
Motivi di appello, ricorsi per Cassazione, memorie illustrative, istanze infinite; una lunga, sterminata striscia in cui emergevano lacrime, speranze, rabbia, sogni, delusioni, cultura giuridica in una processione infinita di volti, ma, più di tutto, la fede incrollabile di chi non può che proporre, indicare, sollecitare, orientare chi poi alla fine dovrà decidere.
Questa è la grandezza e la tragedia dell'avvocato, di non poter decidere mai.
Ma è stato tutto uno scrivere mio per gli altri; avevo bisogno di scrivere per me quello che volevo io, quello che mi portavo dentro, quello che era tutto inciso nella mia memoria e che aveva bisogno solo di una penna e di un foglio per nascere.
Ho iniziato con il lavoro sulla “Commedia” che mi ha impegnato davvero tanto ancorato come doveva essere a quel capolavoro di poesia inarrivabile, matematico, piramidale che solo il genio dantesco poteva concepire.
Poi c'erano i miei ricordi, eccoli sono qui.
Certamente questo lavoro farà conoscere meglio me stesso.
Già, potrebbe obiettare qualcuno, ma che bisogno c'era?
Obiezione respinta, tutti abbiamo il dovere di farci conoscere meglio, sinceramente e umilmente.
Ne deriverà un gran beneficio per noi stessi, per chi ci è vicino e, a lungo andare, per l'intera società.
Un effetto c'è già stato; le mie figlie che hanno letto i vari racconti mi hanno detto che sono loro piaciuti tanto e, cosa ancor più importante, grazie a quegli scritti mi avevano conosciuto molto meglio.
C'era dunque bisogno di tutto questo per conoscere meglio chi si dovrebbe conoscere benissimo?
Così pare forse perché ci si confessa davvero solo scrivendo.
Alcune pagine mi sono costate tante sofferenze e tante lacrime; era come se il volere estrarre dal profondo dell'animo ricordi tanto intimi e lontani, provocasse una lacerazione dei tessuti che li contenevano, come nel caso di mia cugina Graziella.
Sono felice di aver sofferto se quell'angelo dimenticato potrà rivivere un po' nella mente di ognuno.
Affido dunque a chi vorrà condividerli questi ricordi; la quercia del consiglio, la coda di Jack, zio Peppino, Ferrone, Luisa, la maestra Mancini, le ciliegie sotto spirito, la befana Bentivoglio, le due bellezze bionde, i sandali di Padre Basilio, i guanti di lana, la serata magica di zio Riccardo e tutto il resto non saranno più, d'ora in poi, solo miei.
Per non dire poi di persone che, appartenenti alle passate generazioni della mia famiglia, hanno trovato in questo lavoro il giusto ricordo delle loro intense vite.
Mi riferisco al mio trisavolo, il Dottor Melchiade Antonio Petratti, al mio bisnonno Giuseppe Luzi, ai miei nonni Cap. Antonio Scarso e Comm. Angelo Luzi e, infine, a tre miei carissimi zii, Filippo Luzi, il Geom. Vitaliano Vitali e l'Avv. Mario Castagnola.
Affido dunque tutto ai miei lettori chiedendo solo loro di amare i miei ricordi così come io li amo.