Davide Ghaleb Editore

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EREDITÀ ETRUSCA
Intorno al singolare caso della tomba monumentale
di Grotte Scalina (Viterbo)
Maria Pia Donato, Vincent Jolivet (a cura di)

Introduzione

Quando, nella prima metà del XVI secolo, Cosimo I de’ Medici scoprì l’interesse potenziale, in termini politici, di un revival degli Etruschi, elevati al rango di autentici e prestigiosi antenati dei Toscani, si aprì per i dotti un universo nuovo. Un mondo da esplorare faticosamente e svelare sia tramite lo studio dei testi antichi e degli arcani della lingua etrusca che con la ricerca dei monumenti lasciati in eredità da una civiltà fino ad allora pressoché ignorata, schiacciata come era dal peso di Roma e della Grecia.
Nella realtà, ovviamente, i luoghi etruschi non avevano mai smesso di esistere e di trasformarsi, talvolta fondendosi nel paesaggio urbano, mutando progressivamente natura, come il tempio di Giove Capitolino a Roma; più spesso, prestandosi a nuove funzioni, spesso molto lontane dalla loro originaria destinazione. Lo dimostrano forse meglio di ogni altro le spettacolari necropoli rupestri della Tuscia Viterbese, che furono sfruttate dall’Antichità ai nostri giorni ai fini più disparati, dai più pratici – abitazioni, fienili, porcili – ai più sacri ed esoterici.
Che siano naturali o artificiali, infatti, le grotte, le case, i ripari, le cisterne o le cantine aperti nella roccia presentano una perennità invidiabile in confronto alle costruzioni degli uomini. In molti casi, addirittura etiam periere ruinae, come nel caso della Pergamo compianta nella Farsale di Lucano (19.41), mentre queste strutture si conservano e vengono costantemente riadattate, nel corso dei secoli, a nuove funzioni. Il fenomeno del loro riuso è dunque universale: si potrebbe dire che da quando gli uomini hanno contestato le caverne per la prima volta alle belve, non ha mai smesso di prendere nuove forme fino ai nostri giorni! Insomma, anche abbandonati, o colmi di terra e sassi, questi luoghi particolari che conservano spesso intatta la loro struttura, sembrano aspettare solo che venga un momento favorevole alla loro scoperta, al loro riuso e alla loro rinascita.
Si apre dunque anche un immenso campo di ricerca, rispetto al quale il nostro incontro del 15 dicembre 2016 si prefiggeva naturalmente una meta circoscritta a un luogo particolare: l’antica Etruria e, più specialmente, la Tuscia Viterbese, pur allargando lo sguardo ad un periodo di tempo assai lungo in termini storici, e di vite umane, che  va dall’età arcaica al periodo moderno. L’intento era quello di raccogliere nuovi dati, ispirati a diversi orizzonti di ricerca, suscettibili di aiutarci a capire meglio il contesto di uso e di riuso di quel monumento abbastanza singolare che è oggetto di uno scavo sistematico dal 2010: la tomba rupestre etrusca monumentale di Grotte Scalina, presso Viterbo. Riscoperta quasi per caso alla fine del secolo scorso, questa tomba è un imponente edificio concepito su tre piani collegati da scale, dotata di una sala di banchetto del tutto eccezionale, che testimonia dell’opulenza e della raffinatezza dell’aristocrazia tarquiniese della fine del IV sec. a.C. Si tratta oggi di un luogo affascinante, che ci invita ad intraprendere un lungo viaggio nei secoli, sui passi di coloro che l’hanno realizzato, utilizzato, riscoperto, trasformato.

La prima parte di questo volume è consacrata più particolarmente a questo imponente monumento, sul quale viene presentata una prima sintesi relativa alle sue sei “vite”- arcaica, ellenistica, romana, medievale, moderna e contemporanea (Jolivet-Lovergne). È stato infatti possibile stabilire che, durante tale ampio lasso di tempo,  il sito è stato adibito a una funzione funeraria almeno nel corso di tre principali periodi – arcaico, ellenistico ed alto-medievale (Amicucci-Catalano-Jolivet). Il confronto con l’architettura di età ellenistica (Ambrosini) consente di percepire meglio la grande originalità del monumento etrusco - e un’ipotesi relativa ai canti tramite i quali le nobili famiglie etrusche celebravano i loro antenati (Briquel) ci permette di immaginare i rituali ai quali il monumento offriva la sua splendida cornice. L’evocazione del quadro storico della Tuscia viterbese medievale e moderna fornisce una chiave di lettura delle trasformazioni del monumento durante i secoli; queste, del resto, sono documentate da una medaglia devozionale e da una moneta di età moderna rinvenute recentemente nello scavo che qui si pubblicano (Pesante): il fatto che entrambe siano legate in qualche modo al giubileo romano costituisce un argomento decisivo per accertare che la tomba etrusca fu riadattata a un uso del tutto nuovo, ed insolito, nel corso del Cinquecento.
I contributi della seconda parte del volume non sono direttamente legati alla tomba di Grotte Scalina e alle sue origini etrusche, e tuttavia vanno letti in confronto o in contrasto con i dati presentati nella prima parte. Il caso della tomba Bartoccini illustra la diversità nonché, in definitiva, l’imprevedibilità del riuso delle tombe etrusche nel Medioevo: in questo caso si tratta infatti di un gruppo di templari della vicina Tarquinia (Curzi-Tedeschi). Tuttavia, la riscoperta e il riuso si possono fare anche con un preciso intento filologico, una vera e propria ‘musealizzazione’, quando gli Etruschi ridiventano, nel corso del Cinquecento, oggetto di ricerca e di rivendicazione nazionale (Labregère). La riscoperta che prende talvolta, nella seconda metà del XVI secolo, la forma di una curiosa fissazione, come accade all’erudito e incisore Francesco Tinti, che ha disseminato le sue medaglie nei siti etruschi e che oggi affiorano regolarmente negli scavi archeologici realizzati in Toscana (Cappuccini). Più in generale, l’archeologia rupestre, che vanta una lunga tradizione nella Tuscia viterbese, consente di cogliere pienamente l’estrema adattabilità dei luoghi etruschi a nuovi usi e nuove destinazioni, pratiche o rituali (De Minicis). E però, a fronte di un tanto intenso fermento, che assume forme che vanno da semplici reimpieghi a dotti studi archeologici, stupisce l’indifferenza pressoché assoluta dei viaggiatori stranieri nel Viterbese in età moderna nei confronti di un patrimonio ritenuto oggi assolutamente eccezionale (Giosuè).

Non tutte le molte domande suggerite dal nostro tema sono state trattate, il lettore lo constaterà, in modo organico e sistematico. Ma si tratta di fili che, in futuro, dovranno essere intrecciati, ricomposti e integrati, e che dovranno essere pienamente innestati sulla loro trama storica, in modo da consentirci di capire meglio, grazie allo studio archeologico relativo a interventi medievali o moderni troppo spesso trascurati, come l’eredità etrusca non abbia mai smesso, spesso nascostamente, di innervare la storia medievale e moderna dell’Italia, e di contribuire così alla costruzione del mondo nel quale viviamo oggi.