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LA CICALA DI SETTEMBRE
Renato Cavallo


Prefazione

Leggendo La cicala di settembre, opera nuovissima in versi italiani di Renato Cavallo. Sillabandone-assaporandone l’elegante ragionare sciorinato in alternanza – posata e inquieta al contempo – di settenari-endecasillabi. Constatandone la limpida, adamantina compattezza del cursus riflessivo – sia detto chiaro: qui non di silloge si tratta, ma di vera opus concetta. Abbandonandomi alla corrente lieve e commovente del flusso lirico: fin dove, qua e là – a sorpresa: ma neanche troppo – la stretta del pensiero poetante di questi carmi si apre-concede, tra infanzie assolate e maremme, alla tenerezza straziante dell’amarcord e all’incanto del déjà vu. Lasciandomi condurre, lassa dopo lassa, attraverso questo epicedio consacrato alla Vita stessa e all’enigma precario del senso, dall’illuminante bussola-citazione catulliana posta dal poeta sulla soglia del testo: vivere, appunto, e amare, senza dar troppo retta ai rimproveri – certo inesorabili – dei vecchi brontoloni. Perché presto, una volta che la nostra breve luce di esseri sarà tramontata, ci toccherà dormire un’unica interminabile notte. A differenza del sole, che torna invece a-sorgere-ancora-e-ancora, a ogni aurora. E così, da subito, riconosciamo per classica la concezione sottesa al dettato della Cicala di Renato: la vita come luce, calore, energia; la morte come ombra, malinconia-assenza, nostalgia. Non ci sorprenderanno perciò, in tal chiave, i ricorrenti – non per forza scolastici – stilemi carducciani; o certe eco di prosaiche umiltà alla Pascoli; né qualche compiacimento-allusione al D’Annunzio più panico. Chissà, per esempio, quale Lesbia, quale bacio, quale àncora di fede incarni-annunci quel volto che si promette a un certo punto, per un solo fugace attimo, in una pulviscolare-accecante lama di luce d’interni, per subito tornarsene-a-dormire-risprofondare nella penombra-oblio. Ecco dunque anche perché, in fondo, non ci sorprende troppo questo frinir di pensieri, questo inno levato sottovoce dalla speciale-inesorabilmente-dissipata Cicala chiamata Renato: quasi li riconoscessimo da sempre latenti-borbottanti in noi, dal cielo più cupo dei nostri cuori di uomini-umani (Totò-Pasolini dixit). Come incerte sillabe e sguardi familiari che rimbalzino domande inestinguibili fra i pilastri delle nostre anime-tempio. Come eco anelanti a ritrovare «un’unità profonda e buia/ grande come le tenebre o la luce» (Baudelaire ci viene in aiuto). Cicala è il poeta, ovviamente. Cicale tutti noi viventi. Fugaci settembri le nostre stesse vite.
Confesso, infine. Leggendo La cicala di settembre, all’improvviso ricordando, mi è tornata in mente – chissà perché – la Favola dei suoni del grande Galileo. La sua cicala inerme, il suo strepitoso apologo-invito a deporre ogni iattanza: perché meravigliarci di «non sapere come in tanta lontananza si generi la cometa», quando in fondo non sappiamo davvero spiegare «come si formi il canto della cicala, mentr’ella ci canta in mano»? Cicale o comete non importa: la Vita resta mistero. Urge umiltà nel conoscere, se vogliamo umanamente progredire. Proprio di questa umiltà, vorrei chiosare, è scrigno modesto-prezioso il nuovo libro di Renato Cavallo.
Antonello Ricci

 

Indice

Indice

Prefazione, Antonello Ricci

La cicala di settembre
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E la notte, finalmente…
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Ricordo
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Era soltanto ieri
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Per PP: Meteora
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Quarantena 2020: Covid 19
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Il pino solitario
Alfa/omega
X agosto
Vendemmia
L’ultimo “giornalino”
La verità”
... vieni quaggiù in campagna...
Immagini d’agosto
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Paese...
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La preghiera
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L’ultima bugia
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La cicala di settembre
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