TERESA BLASI PESCIOTTI
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Nota biografica

Teresa Blasi è nata a Vetralla, dove ha trascorso la felice infanzia e l’adolescenza segnata dal dolore della guerra.
Ventenne, trasferitasi a Viterbo ha vissuto per lunghissimi anni l’appassionato impegno nella scuola e nella vita civile-culturale-politica della comunità viterbese.
Nel 2007 ha pubblicato la raccolta di versi Secretum, edizioni Settecittà - Viterbo, in memoria del compagno di vita Carlo Pesciotti. Con la casa editrice Ghaleb ha pubblicato la raccolta di poesie e prose Il funare (2009) e la raccolta di poesie Alla radice dei giorni (2014).

Recensione rilasciata dalla Fondazione Mario Luziwww.marioluzi.it
(riferita ad sette poesie inviate dall'autrice alla fondazione)

Se, in certo senso, le poesie di Teresa Blasi Pesciotti possono essere definite genericamente poesie del ricordo, più realmente esse ci rinnovano una memoria a-temporale ed a-storica. Alludono ad una dimensione dove le cose, ancor prima d'essere dimenticate o trattenute .dal ricordo, sono anima ed atto fondativo del nostro essere. Non è, pertanto, una memoria qualunque ma, piuttosto, il rinvenimento dell'essere. La memoria dell'autrice si costruisce attorno alle cose che sono in quanto tali, che identitariamente raffigurano l'immagine del nostro essere-umani. Questo sguardo permane vigile sul tempo, sui luoghi di ieri, sulle situazioni di fatto e su quelle verità fondanti, che non passeranno mai in rassegna, che non faranno mai il loro tempo: dunque la storia e l'eternità.

C'è una sede assai più profonda dove trovano ospitalità i ricordi, dove dimora la memoria, la nostra coscienza emotiva fatta di immagini ed accadimenti, di una storiografia talora più vicina al nostro presente, più solida e solidale d'altri trascurabili fatti.

Ma anche questa non è la vera memoria su cui fa leva l'autrice che punta dritta al cuore della questione: il ricordo si connatura strettamente con l'essere, fino a divenirne irrinunciabile condizione d'esistenza. Io non sono se non ciò che rivengo in me, nella mia memoria secolare, nel codice della mia genìa di uomo, di donna; io sono nel mio ricordo nella misura in cui rammento.

Questo tipo di riaffioramento del nostro inconscio viene impropriamente chiamato ricordo, ed altrettanto impropriamente esso viene legato ad una dimensione del nostro passato, ma si tratta in realtà di straordinarie scoperte che proiettano il nostro essere, più di altri ed in modo dirompente, verso la dimensione del futuro.

Non è mai troppo tardi per riscoprisi nella propria veste umana, per rinvenire in essa le ragioni profonde dell'esistere e mantenere memoria di ciò, destinare in modo positivo le circostanze di questo ritrovamento di noi stessi. Scriveva S. Agostino: " E’perche è nascosto che continuiamo a cercare ciò che deve essere trovato". Nasciamo smemorati, con la congenita dimenticanza del nostro essere, e procediamo per sottrazione, per recupero di identità attraverso una memoria profonda, a-temporale, che è la memoria biologica e spirituale del nostro io più radicale. La memoria, dunque, non ricorda ma rinviene, disseppellisce l'essere dai metri di sabbia desertica, dal pulviscolo del quotidiano che opacizza la limpidezza esistenziale del nostro io. La memoria ci salva dalla smemoratezza di noi stessi, da queste cancellazioni voraci che sbiadiscono, scontornano la nostra identità e, dunque, scompongono le ragioni centrali della nostra persona.

"Ma ciò che dentro - non so dove
non so come - ha compiuto
invasione o ferita
resterà bianca ombra
segno di viva cicatrice
che ancora scalda e duole
e chiede: E' questa la felicità? "

 Nel testo "L'anima e il corpo" è resa perfettamente l'idea di una doppia identità, di una compresenza dell'una nella dimensione dell'altra. L'anima non ha umori, non ha mutevolezze essa permane nel suo stato di costante grazia. Le afflizioni umane non sono una alterazione dello stato dell'anima ma una mal disposizione del nostro corpo, un gravame che ci pregiudica, che ci distoglie dalle "adorate colline, sui monti, sui prati".

Dunque, la nostra dimensione umana implica anche una resa dei conti con la nostra umana corporeità:

"Ildolore, il dolore del corpo/ E' un orrendo brutale gigante,/ il suo passo di ferro/Distrugge i giardini/ Calpesta le aiuole/ Divelle mimose e roseti ".

La poesia di Teresa Blasi Pesciotti è anche e soprattutto una poesia dei luoghi poco importa che siano reali o connotino, piuttosto, una dimensione dell'anima. Ma tali ambientazioni sono, sempre ricorrenti, riconoscibili nei segni e nei tratti al punto da prefigurare scenari di purezza e beatitudine.

Questi luoghi intimi sono forse la manifestazione stessa della spiritualità dell'autrice, una proiezione, una loro estrinsecazione visiva:

"Emily sempre in dono
Agli amici porgeva - lei reclusa –
Fiori colorati frutti
Del suo palpitante giardino
E insieme (mai assenti)
Parole di pura poesia.
Non era rituale di fanciulle romantiche.
Se stessa interamente offriva
Anima ardente e dolcissimi sensi ".

Le parole sono volte ad una estrema, quanto tangibile semplicità e pulizia, la mancanza di forme mistificate e artefatte sono uno dei grandi doni della scrittura Una poetica fresca, specchiabile, onesta. Si percepisce, in tale semplicità, anche una relativa accortezza, una misura e pudore, una notevole discrezione nel porgere la parola sempre composta ed in armonia.

V'è, poi, anche una dimensione solida e solidale che unisce la sfera dell'io autorale diTeresa Blasi Pesciotti con l'Io universale del respiro cosmico. Questa immedesimazione del singolare nel molteplice testimonia la compresenza nei testi di una parola trasversale, di una lingua degli uomini che consente al nostro occhio di rivedersi nella pupilla dell'altro, di riconoscere la diversità come ragione di una comune somiglianza umana.

L'autrice nei suoi testi enuncia, seppur implicitamente, le sue categorie umane, spirituali e poetiche che sono categorie generali dell'esistere, insegne che imprimono le loro iscrizioni sulla carne e nel sangue dell'umanità:

"Siedono insieme a parlare/ con accenti diversi,/ malinconicamente uguali ".

Se v'è una qualche forma di memoria in questi versi, si tratta di una evocazione verso cui si tende ed inarca tutta la poesia, una dimensione di eterno, di memorialità alla radice dei giorni:

"Dopo un lungo trascorrere di anni/ finalmente ho imparato/ a compitare il suo nome ".

Nel testo "Le ancelle di Nausica" l'autrice guarda con indulgenza alla cagionevole età in cui si è ancora giovani, in cui l'incertezza dell'esistere fa trepidare fortemente per le sorti della vita: "Vostra è la grazia dei giovani corpi,/ dai capelli nel vento, dei piccoli piedi/ scalpitante nella schiuma dell'onda ".

Il testo "Notturno", più di altri, svela uno schematismo compositivo troppo evidente e con necessità di revisione. Si tratta fondamentalmente dell'uso di una poetica ripartita in due tempi: il primo definisce e circostanzia lo spazio, determina il dove, il secondo connota gli aspetti qualitativi e determina le ragioni del come (primo momento "dove " : sulla nuda terra, sull'ondulata pianura, avvolta dal suo caldo odore, su quelle zolle ecc.).

Anche il testo "Il rosso del giacchetto alla moda" propone un certo schematismo a tratti accentuato ma l'esito che ne discende è assai migliore fino ai bei versi finali:

"Donna che già nasci madre
che trascendi la vita con la vita,
tua, interamente tua,
è la soave solitudine
materna ".

 Mattia Leombruno
Presidente della Fondazione Mario Luzi
Fondatore e Direttore del Premio Mario Luzi