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BALLATE SUL MONDO II
Gianni Abbate

Postfazione
Antonello Ricci

Ha ragione Gianni, poetau(t)tore, nella sua brevissima, icastica e penetrante Introduzione a questo libro. Ballate sul mondo II è un testo intrigantemente-fecondamente anfibio.
Da una parte infatti, e senza ombra di dubbio, esso rappresenta la totalmente-naturale prosecuzione delle istanze avviate con il suo predecessore: Ballate I. Sotto il profilo dei contenuti: si tratta, anche stavolta, di tematiche di bilancio-rilancio (psico-antropologico, umano, di civiltà); bilancio al tempo stesso personale-soggettivo ma anche corale-universale; tematiche improntate all’improbabile-commovente ossimoro di una sottesa tonalità-sindrome bipolare caustico-innamorata della vita. Per ciò che concerne invece il dettato formale: vi si conferma il cursus di un discorso-in-versi connotato da tutti gli stigmi propri di un’irrefrenabile-ineluttabile pulsione all’autonomia del significante poetico (rime perfette e imperfette, paronomasie, iterazioni, anafore eccetera); epperò costantemente aspirante-impennantesi (per balzi improvvisi) dalla bidimensione del rigo-di-libro al cosmo tridimensionale-orale della battuta pronunciata-sillabata in performance teatrale (doppia voce dialogante, annichilimento della punteggiatura, concrezioni di deittici tra-parentesi tendenti ad albe-di-didascalie-di-copione eccetera). Sotto questo punto di vista direi che, perfettamente in battuta, Ballate II guida a felice compimento, sciogliendolo in un’opera unica-e-stessa, il dittico avviato-promesso dal predecessore Ballate I.
D’altra parte però. Rispetto al suo predecessore – come per un Quijote fiorito fuori tempo massimo o un manierista testo-labirinto alla Borges – questo Ballate II pare contrassegnare, al tempo stesso, un potente salto di paradigma, un libro altro-e-ulteriore: laddove infatti Ballate I sembrava fluire come colata lavica, contrassegnato da scrittura febbrile, inattesa e visionaria, a tratti quasi automatica, questa nuova fatica di Gianni si caratterizza per una più sorvegliata-consapevole attenzione-revisione: diminuzione del numero complessivo dei canti-capitoli; una (certa) maggiore espansione lirica dei singoli momenti; numerosi riferimenti-citazioni elegantemente delicati-calibrati (tra formule shakespeareane e leopardiani vesuvi; tra visionari mr-tamburini alla Dylan e sapidi refrain alla Rino Gaetano; tra onomatopee cartoonesche e pseudo-resoconti poetico-radiofonici); accensioni-promesse protonarrative (con scatti random dal sempre-ricorrente tempo presente a improvvisi-spiazzanti passati remoti); emblematica “fasciatura” avvolgente-l’insieme, infine: dato che in incipit Gianni piazza un intenso Post Scriptum-bilancio, poeticamente disvelante, spiazzantemente riconvertito in sipario iniziale («attimi di pura poesia/ attimi di vero amore/ attimi di sacralità/ che ci sono sì che ci sono/ in una qualsiasi giornata ci sono»); bilanciato in chiusura da una (breve) citazione (degna di un esergo) dal beckettiano Aspettando Godot: 7-battute-7 in botta-e-risposta tra Vladimiro ed Estragone. A ricordarci che ormai il senso del nostro stesso esserci è irrimediabilmente fuggito-sfondato. E che a noi – a tutti noi – della vita non resta che il teatro.