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L'ORTO BOTANICO GIANICOLENSE
E GIOVANNI BATTISTA TRIONFETTI
Viaggi nella Tuscia, al Circeo e in Italia
di un botanico appassionato tra Seicento e Settecento

Carla Benocci


INTRODUZIONE DI MAURO PIACENTINI

Giovan Battista Trionfetti un viaggiatore nel verde della storia

La ricerca costante di percorsi naturalistici doveva rappresentare per Trionfetti una vera passione, quasi una mania verso nuove conoscenze scientifiche. Sarebbe incompleto sottolinearne semplicemente i soli risvolti tassonomici. Ciò che merita una sosta approfondita sul protagonista è questo suo zigzagare con una curiosità insaziabile attraverso percorsi noti e sconosciuti, tracciando una ipotetica strada del verde.
L’introduzione al complesso studio di questo volume intende sottolineare cosa rappresentano oggi alcune delle specie raccolte e classificate, che suscitarono l’attenzione ed i successivi sforzi di altri appassionati studiosi.
L’argomento trattato porta inevitabilmente all’immaginazione. Se ci si immerge nel suo tempo, troviamo un habitat ancora non avvolto da affastellamenti antropici e quindi Trionfetti entra in una visione naturalistica globale. Certamente i celebri racconti dei botanici ebbero la giusta suggestione per aumentare la sua già grande passione per la natura e i suoi misteri. Esplose in lui la grande curiosità di visitare il monte Circello (Circeo) e la sua selva.
Chissà se la logica dei suoi itinerari seguisse un istinto anziché un programma. Le specie da lui trattate ci forniscono la lettura dei suoi passi, quasi come un’ombra al suo fianco. Lo troviamo presente in zone palustri, mare, lago, torrenti, spiagge e dune, dove una flora rustica e selvaggia cattura la sua attenzione. Attraversa stradelli sconnessi di ciottoli e strade battute, per addentrarsi nella macchia e salire le pendici sino al culmine, non prima di aver attraversato vasti appezzamenti di specie polifite.
Prosegue «informato di qualche novità e progredito non invano», scrivendo all’«Eccellentissimo e Carissimo Signore Nicolò Cesi», e raccoglie quante più particelle di piante possibile nel suo ideale di riproduzione e nella costante verifica delle sue tesi.
Instancabile nei suoi perigliosi viaggi, risale la penisola non trascurando neppure la flora delle piccole e grandi città che attraversa. Entra negli Orti Botanici, nei giardini dei palazzi, insomma ogni traccia di verde diventa un percorso, una strada, una meta.
Difficile o quasi impossibile stabilire un numero esatto delle specie trattate, basti pensare che esse appartengono ad ogni fascia climatica della nostra penisola. Mare, campagna, collina, bosco e montagna: non esiste spazio privo di interesse per lui.
Particolarmente interessante è quindi osservare più da vicino, nei loro aspetti singolari, alcune specie descritte dal Trionfetti e rileggerle in modo più approfondito.
Sono emersi particolari sorprendenti soprattutto nella conferma di alcune teorie dell’autore, all’epoca molto contrastate e controverse, e sulla contesa storica tra botanici e medici del suo tempo.
Tra tutti i detrattori, Marcello Malpighi che, nell’Anatome Plantarum del 1675 e nella Pars Altera del 1679, aveva accertato, con i limiti degli ingrandimenti dei microscopi, la presenza di semi manifesti a officio della generazione. Nella cerchia del Malpighi troviamo anche Giacinto Cestoni. Ma tutto ciò non arrestò la grande spinta verso nuove conoscenze scientifiche e la ferma convinzione delle sue teorie, le quali fornivano l’energia per proseguire i suoi viaggi e nutrire l’interesse verso ogni specie vegetale.
Anche una pianta come la Mirice, ad esempio, risulta degna di un apprezzamento e che nel giudizio di Camerario coincide con il Tamarisco, generato dallo spontaneo incrocio tra la Tamerice ed il Lentisco. «Giova e fa bene», scrive al suo amatissimo Nicolò Cesi in una lettera del suo viaggio sul monte Circeo.
Sono stati focalizzati ed amplificati aspetti e benefici di alcune specie frutto di una attenzione, all’epoca, controversa. La convinta audacia nelle sue appassionate e motivate tesi, come ad esempio quella nata dallo stupore nell’osservare i «globos» gettati dai flutti sul litorale, alghe agglomerate dal movimento del mare in forma rotonda che inserisce nei prodigi della natura. Tanto le osservò da teorizzare diverse tesi sulla loro origine. Nella sua lettera al Cesi, si percepisce la quasi maniacale ricerca delle conferme botaniche.
Citando Teofrasto, Dioscoride e Plinio, Trionfetti invita con deciso carattere ad evitare classificazioni di specie non precisate con audaci accostamenti. Un purismo scientifico apprezzabile, che ha evitato trasposizioni botaniche inesatte anche nelle attuali tassonomie. Famose le sue correzioni in merito, che sottolineano la sua costanza.
Dopo aver rischiato la vita in un mare burrascoso e l’immediato «non ordinario lenimento» provato al mattino nel discendere in spiaggia, viene nuovamente attratto dalla natura, con le sue bellissime piante, per riprendere il viaggio con rinnovato entusiasmo.
Un amore per le scienze che traspariva dalla tempestività nello spedire con cura i suoi campioni vegetali al rettore della Sapienza, l’«Illustrissimo e reverendissimo Federico Caccia» che con certa benignità ne ordinasse la custodia ed il loro «essere indenni» nell’ateneo delle scienze naturali.
Il suo stupore verso alcune specie si può senza dubbio associare alla ebbrezza di scoperte significative, al grande amore per la scienza, che manifestava con sincera eccitazione.
Alcuni esemplari suscitano in lui morboso interesse ed in questi casi Trionfetti si sofferma in modo anatomico sui dettagli di ogni singola parte, come ad esempio nel caso dell’Hormium tuberosum sanguinolentum a flore rubro. A tale proposito così lo descrive: «proseguendo il filo del mio itinerario nella prima salita sono sedotto da una pianta bellissima», «non ti sorprendere» scrive al Cesi. Si tratta dell’Hormium tuberosum sanguinolentum flore rubro.
Si bea osservando i forti ed eleganti gruppi delle palmette di San Pietro, la endemica Chamaerops humilis tanto cara a Plinio e che Anguillara chiamò con nome napoletano Cefaglioni.
Dall’interno al mare va indagando caverne invase dai flutti e poi di nuovo impiega ogni sforzo per arrivare in cima a Torre Paola, salendo per il pendio boscoso florido di Lentiscis (lentisco), una Anacardiacea tipica della macchia mediterranea. Scrive ancora: «Raccogliendo e depositando tra i semplici, quando rimanevano due scarse ore (di luce), non abbandonammo quei luoghi ostili quando ci mostrarono (i rustici abitanti) la Jovis barba, pianta a me carissima, non messa tra i generi da Plinio ma descritta da Clusio e Camerario», conclude compiaciuto.
È consueto trovarla sulle rocce a ridosso del mare in quanto la Anthyllis barba-Jovis, arbustiva appartenente alla famiglia delle Fabaceae, risulta molto resistente ai venti di libeccio.
Questo nostro spigolare all’interno del viaggio del protagonista vuole essere curiosità e conferma dello spessore ardimentoso e morale dello stesso. In sintesi, cercare di rileggere la sua storia come se fossimo al suo fianco. Nessuna pretesa di una trattazione esaustiva del botanico bolognese, quindi, ma si intende solamente evidenziare un personaggio che tanto ha dato a dispetto della sua fama. Infatti, oltre a ciò che conosciamo del naturalista, del medico e dello scienziato, risaltano le sue emozioni e le sue paure nei momenti più esaltanti e critici del periglioso andare. Confida nell’imbecillità della sua penna, insufficiente ad esprimere gli aspri dolori, ad esempio, mettendo a nudo senza remore i suoi limiti.
Aspetta che la rabbia del mare si plachi per proseguire, e scrive che il suo desiderato sonno è allontanato dalla fame non del tutto estinta con due pani e radici di Eringi, sopporta la pioggia notturna nel dormire all’aperto e rimanere incolume dai pericoli dei Turchi e dei lupi per il nuovo desideratissimo giorno.
Dal lago di Fogliano a Cisterna, esce dalle selve boscose per entrare in vasti prati. Arriva a Genzano, passa per Alba e nel ritornare a Roma si ferma ad ammirare il paesaggio del vicino Monte Cavo. Raccoglie erbe aromatiche e, nell’aggiungere ai suoi campioni le specie Petasites vulgaris e Aegolechios Plinij, ne descrive lo scavo con non poca gioia.
«Dopo questi abbiamo raccolto altre piante – scrive –, in vista di Roma dove, rimanendo presente, sto bene non ugualmente nel corpo e nell’animo. Il primo esulta felicemente non oppresso, mentre l’altro duole per la mancanza di comandi in attesa di nuove ed avvincenti imprese».
Di seguito il focus su alcune specie selezionate tratte dai suoi disegni.