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PASSAPAROLA
Autoritratto allo specchio convesso degli scritti sparsi e d'occasioni
Fra i santi Agostino, Giorgio e Girolamo
Antonello Ricci


Prefazione di Carlo Maria Ponzi

Antonello compie 60 anni (auguri) e confeziona una cornucopia con le composizioni dettate negli ultimi quattro lustri.
Il lettore, quelli agé, come chi scrive, o i nuovi troveranno nelle pagine squadernate nel volume i suoi miti letterari, siano essi di gran nome (Bianciardi, Brancati, Pasolini, Pirandello, Wilcock), siano essi espressione di orizzonti e temperie lontane: a Viterbo, Alfio Pannega, poeta della vita; in giro per la Maremma, una manciata di poeti a braccio con i quali non poche volte si è misurato in scintillanti tenzoni fatte di ottave rime in versi endecasillabi.
Ma oltre la letteratura, c’è il cinema (Federico Fellini, Alberto Sordi); la storia, con biografie di eroi garibaldini ignorati dagli storici militanti; le passeggiate-racconto che hanno sorretto battaglie civiche (prima fra tutte, la difesa e quindi invenzione del parco dell’Arcionello) e novellato mirabilia storico-artistiche sulla quasi totalità dei 60 borghi di cui si compone la Tuscia viterbese; e poi ancora le reiterate immersioni nei paesaggi e nella natura incontaminata della Selva del Lamone e della Maremma.
In queste migliaia di battute dattiloscritte e cesellate, il lettore accorto può scorgere in filigrana una costante: ovvero il versante autobiografico che, a ben vedere, sorregge il caleidoscopio che si srotola nelle pagine che seguono. E così, raccontando Pasolini, Fellini, Sordi, poeti a braccio o dialettali, eroi popolari, selve selvagge, storie dimenticate, le sue illuminazioni lessicali lo aiutano a incidere la propria biografia.
È lo stesso Antonello a confessarlo: «Autoritratto allo specchio convesso: ciò che ho scritto narrando gli altri, mi sembra restituisca in qualche modo il mio volto – certo, non lo dimenticherò: riflesso in uno specchio convesso-deformante; gli altri non sono comunque me – una sorta di autoritratto intellettuale-morale, il percorso di una vita di ricerca e creazione.»
Fin da suoi esordi Antonello ha privilegiato un “io” egotistico non fine a sé stesso, quanto assunto a chiave di volta per entrare in contatto immediato col lettore. Con La zona grigia (Edizioni Sette Città), apparsa nel 1996, ha messo il suo cuore a nudo rispolverando le vecchie foto di sé bambino o adolescente, ricomponendo i brandelli della memoria, affidandosi all’orgoglio civile e alla militanza letteraria, attualizzando i lacerti di luoghi lontani impressi solo su immagini che, trascorrendo gli anni, son diventate virtuali. Insomma, una sorta di Via Crucis alla ricerca del tempo passato (e non perduto), un’ascesa verso il Golgota per afferrare e descrivere una «Viterbo civile che non c’è, che non c’è mai stata.»
L’“io” prorompe anche in altre prove, ma si ammanta di gioia. Si veda, a questo proposito, la pagina dedicata all’amico grossetano Corrado Barontini, sottolineando che «da una vita raccoglie, ricopia, sforbicia, incolla, scrive, disegna, dipinge, ricicla, compone, progetta, commenta, inventa, mescola e rimescola, canta, suona, appunta e contrappunta, registra, presenta.» Una mitragliata di lemmi che, mutatis mutandis, si possono ben spendere per la sua attività.
E allora, caro Antonello, auguri per i tuoi 60 anni. Con la certezza che saprai regalare ai tuoi devoti fan tanti ulteriori passaparola del “sapiente narrare”.