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Riflessioni di Marisa Rodano


Quali riflessioni suscita il libro “Donne a Oriolo Romano tra età moderna e contemporanea” In primo luogo che è assai originale, inconsueta, l'idea di ripercorrere la storia del Comune di Oriolo, dalla sua fondazione nel XVI secolo a oggi e di presentare la realtà della odierna comunità oriolese, tra modernità e tradizione, (dalle attività sportive praticate da donne alla tradizionale “vestizione” della Madonna della Stella), attraverso le sue più significative figure muliebri: un tentativo di scrivere una storia al femminile, rompendo una consuetudine consolidata. Le donne, infatti, fino al novecento sono sempre state cancellate dalla storia e rimosse dalla memoria. “La biografia di Costanza - scrive l'autrice del saggio su Donna Costanza Santacroce, nata nel 1538 – appare scarna e riduttiva; non ne emerge la sua personalità né la sua cultura; la storia, i documenti sono tutti al maschile, annotati da maschi, scritti da e per i maschi. Le notizie su Costanza vengono così estratte e dedotte da documenti per una storia al maschile”.
Non è casuale perciò che per i primi quattro secoli – il 1500, il 1600, il 1700, il 1800 – si siano potute recuperare soltanto (con una eccezione, la “vedova” Lucia da Torazolo da Ficulle) le biografie delle donne della famiglia Santacroce, fondatori del Comune di Oriolo e dei Principi Altieri, padroni di ampi feudi nella zona. Una famiglia importante questa, imparentata con cardinali e pontefici, con altre nobili casate non solo di Roma, ma anche di altre località, come, ad esempio, i milanesi Borromeo: ne fanno parte uomini ricchi, potenti, sui quali perciò è stata tramandata ampia documentazione. Dei servi della gleba e delle persone senza titoli nobiliari dell'epoca al massimo fanno menzione i registri parrocchiali. Ed è solo tramite l'appartenenza alla famiglia dei feudatari di Oriolo che delle donne è rimasta traccia. È singolare e significativo ad un tempo che non si tratta di donne native di Oriolo, ma che sono giunte a risiedervi, agirvi, realizzare opere di beneficenza, solo per il fatto di essere imparentate o esser state date in matrimonio ad esponenti della casata feudale degli Altieri.
Ricostruirne l'immagine ha certo comportato un'operazione complessa che ha richiesto, per i primi secoli, una assai pregevole e accurata ricerca archivistica, confronto di fonti, individuazione e riproduzione di significativi documenti e immagini d'epoca, estesa largamente sulla nobiltà di quei tempi ben oltre Oriolo, non solo a Roma, ma in tutta Italia: un lavoro davvero difficile e certosino.
Ne emerge il quadro di oppressione ed emarginazione di cui all'epoca – quanto meno in questa parte d'Italia – anche le donne appartenenti ai ceti privilegiati sono vittime. Sono considerate poco più che oggetti, anche se nel '600, pur se sempre ritenute secondarie e trattate da oggetti, comincia una loro valorizzazione come centro di vita mondana: è il caso di Laura Caterina Altieri. Solo nel '700 cominciano ad avere una attività autonoma di “benefattrici”: “bisogna cooperare al bene e alla felicità delle nostre vassalle” scrive Maria Maddalena Borromeo Altieri che eroga premi di “devozione” e doti alle ragazze povere. Ma persino nel secolo dei lumi, della rivoluzione francese e del primo pensiero femminista, le donne non riescono a entrare nella storia: lo status delle donne è soprattutto quello di essere madri per assicurare al ceto nobiliare la discendenza: Livia Borghese Altieri avrà ben nove figli, Maria Beatrice Archinto in Altieri, figlia di Cristina Trivulzio, un'amica di Silvio Pellico, legata alla causa dell'indipendenza italiana, ne avrà cinque. Non a caso Maria Beatrice, nata a Milano e vissuta in un clima politico e culturale ben diverso, data in sposa a Emilio Altieri soprattutto per risollevare le sorti economiche della famiglia Archinto, donna colta, che si occupa degli affari di casa e intrattiene vaste relazioni, considera il matrimonio come una prigione e il soggiorno a Oriolo come una “reclusione”. Anche nel popolo la maternità resta la più importante prerogativa femminile perché fornisce le braccia per il lavoro dei campi e consente alle donne di fare le balie per i figli dei signori. La tradizionale divisione dei ruoli sociali secondo il sesso – agli uomini il potere, il lavoro, le cariche, alle donne la procreazione e la cura domestica – emerge in tutto il suo peso.
E persino nel 900, quando il potere feudale non esiste più, pur se resta forte l'autorità della ricchezza legata ai titoli nobiliari, è di una donna della famiglia Altieri che si ricostruisce la personalità e il rapporto con Oriolo. La realtà sociale è cambiata: Donna Emilia Balestra Altieri, infatti, nata a Roma nel 1888 non è nobile, è figlia di un avvocato e senatore liberale. La sua vita trascorre in un'epoca di grandi trasformazioni: la prima e la seconda guerra mondiale, il ventennio fascista, l'Italia repubblicana. Emilia avrà il diritto di voto, potrà scegliere tra Repubblica e Monarchia, vivrà in tempi in cui si svilupperanno le lotte per l'emancipazione femminile, ma nulla si sa delle sue scelte, delle sue convinzioni, del suo atteggiamento in così importanti vicende. È descritta come donna di principi rigidi, ma appassionata per lo studio; si ricorda la sua sofferenza per non aver avuto figli, si precisa che viene ricordata con simpatia soprattutto per il suo rapporto con la popolazione e con la scuola delle Maestre Pie Venerini.
Ma, finalmente, nel Novecento, con il bel saggio di Emilia Lotti, compaiono altre donne, le operaie della fonderia Giampieri, le donne impiegate nella raccolta del legname, nell'attività agricola e, attualmente, le pendolari occupate a Roma. Emilia parla anche delle ragazze che vanno a lavorare nella camiceria di Manziana: un cenno che mi ha commossa, perché, quelle ragazze, ho avuto occasione di conoscerle di persona quando occuparono il laboratorio nel 1968 con grande coraggio e tra mille critiche da parte persino dei loro familiari.
Ed è alle donne di oggi, alla loro molteplice attività che è dedicata la seconda parte del volume, attraverso gustose interviste alle personalità femminili che eccellono nella vita di Oriolo: la prima donna farmacista, la prima suonatrice di clarinetto entrata nella banda municipale, un'imprenditrice, il primo sindaco donna del Comune, la veterinaria, la podista. Deliziosa l'intervista al figlio dell’Annetta, Anna Crescimbeni, che ha gestito una rivendita di materiale edile.
Quali riflessioni suscita questa seconda parte del volume? Che si è di fronte a una realtà femminile del tutto diversa rispetto a quella delle donne della famiglia Altieri.
A Oriolo è passato il '68, il femminismo; oggi le donne eminenti del Comune, native di Oriolo o giuntevi da fuori, ma bene integrate nella comunità cittadina, non hanno titoli nobiliari: sono donne che hanno scelto liberamente, che considerano ovvio un lavoro extradomestico, che conoscono la fatica di conciliare lavoro e cura della famiglia, che si dedicano con passione e soddisfazione alla propria attività economica, alle proprie passioni musicali o sportive. Colpisce che dichiarino di non aver incontrato particolari difficoltà nei rapporti con i maschi. È come se, ancora una volta, fosse avvenuta una rottura della memoria storica. Queste donne sono moderne, hanno introiettato la libertà femminile promossa dal movimento femminista, usufruiscono, (sia pure con le difficoltà di una situazione che vede le conquiste delle donne sotto attacco), delle opportunità costruite dalle lotte di emancipazione, ma non sembrano consapevoli del lungo processo di battaglie che le ha rese autonome. Tuttavia lo sono e della propria autonomia fanno tesoro.