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Mezzo secolo di
ROMA SOTTERRANEA
100 domande-risposta con i 100 ipogei pià belli
Carlo Pavia


Presentazione di Carlo Verdone

– Sig. Verdone, c’è una busta per lei. Vengo a portargliela – mi aveva annunciato al citofono il portiere. Era ancora presto, neanche le otto; in genere il postino consegna la posta alle 11.
Dopo pochi minuti ecco sull’uscio di casa il portiere con la busta. Me la consegna aggiungendo che era stato il mio amico Carlo a portarla.
– Andava di fretta... mi ha detto ... inoltre non ha voluto disturbarla così presto.
Sul retro della busta era una sigla, C. P.; ho intuito subito chi fosse il mittente, Carlo Pavia. Preso dalla curiosità e seduto al tavolo del salone, ho iniziato ad aprire la busta. Dentro c’era la bozza preliminare del suo nuovo libro. Il titolo era già assai intrigante, Mezzo secolo di Roma Sotterranea. Un libro in bianco e nero, frutto di fotocopie e senza particolare importanza. Ciò nonostante le numerose fotografie (una pagina di testo e una illustrata), sebbene incolore, mi avevano già catturato l’attenzione.
La prima cosa che ho pensato è stata: “Però... ci saranno almeno un centinaio di foto a colori! Sarà stupendo, questo libro, perché stupendi sono i luoghi ritratti...!”
Un lettera su A4 battuta con la macchina per scrivere (lui fa sempre così quando mi scrive e questo lo sapevo benissimo), con lettere a volte più marcate sulla carta e a volte quasi trasparenti, e per giunta con qualche correzione a penna, accompagnava la bozza rilegata a mano con lo spago.
Poche righe su quel foglio ma precise, secche e lapidarie. Questo il testo:
“Caro Carlo, ti dono la prima bozza del mio nuovo libro. È il quarantesimo e lo definisco definitivo. Dopo aver scritto per decenni sulla Roma sotterranea ora penso di fermarmi. Non che non abbia più nulla da raccontare ma dopo 50 anni da che entrai per la prima volta in un ipogeo, sono giunto alla conclusione che ora sarebbe il caso di andare in pensione o quantomeno farsi da parte per fare spazio a nuove leve delle quali a tutt’oggi, però, non se ne vede la più pallida ombra, almeno così come le intendo io... certe leve.
Giacché sul libro cito spesso Mario, tuo padre, mi farebbe tanto piacere se tu potessi scrivere qualche frase di presentazione”.
A fondo pagina era anche un brevissimo post scriptum: “P. S. Fai ciò che vuoi di questa bozza”.
Ciò che voglio della bozza? Questo sì che è uno splendido regalo! In genere le prime bozze non si cedono mai, non tanto perché in futuro possono valere una fortuna ma soprattutto perché rappresentano il concreto frutto di un pensiero o di un’idea a cui l’autore ha ragionato fors’anche per molto tempo.
La prima bozza di un’opera è come un figlio appena nato; ha bisogno d’amore, di calore umano e soprattutto di cure. Va inoltre forgiato, corretto e rettificato. Ciò che ne uscirà, più tardi, potrebbe anche essere molto diverso dall’originale.
Si usa dire “Il primo amore non si scorda mai”. Nel caso delle bozze aggiungerei ... “e non si cede mai,” per motivi affettivi. Carlo Pavia ne ha avuti 39, di amori, e mi ha fatto dono dell’ultimo, il quarantesimo. Se ne è privato affinché io ne potessi venire a conoscenza in anteprima assoluta. Dopo una preliminare analisi non penso che esista un altro libro con caratteristiche simili.
La prima bozza originale è inoltre ricca di correzioni effettuate di suo pugno con la matita. Il bello di questo esemplare è proprio questo: cercare di capire perché l’autore abbia cambiato una frase in luogo di un’altra. Si tratta di un privilegio di cui solo i possessori di questi «pezzi rari» possono godere.
Con quella lettera Carlo Pavia mi chiedeva di scrivere la presentazione del suo nuovo libro. “Beh..., l’ho fatto altre volte... non vedo perché non farlo ancora per quella che, a suo dire, dovrebbe essere l’ultima volta...”, ho pensato mentre iniziavo a leggere l’introduzione.
Dopo le prime frasi ho notato che la mia curiosità si faceva sempre più intensa. Non riuscivo a staccarmi dai contenuti descritti e soprattutto dallo schema del libro che Carlo aveva ideato e imbastito con cura certosina. Poi sono passato al cuore del libro alla ricerca dei punti in cui si cita mio padre. Li ho scovati con facilità in almeno quattro pagine (pagg. 26, 28, 29, ecc.) e la cosa, ovviamente, mi ha fatto grande piacere.
Carlo Pavia aveva parlato di Mario Verdone anche nei suoi precedenti libri come ad esempio Storie de noantri, Il Tempio dei Dioscuri e Roma da sotto a sopra, per i tipi dell’editore Davide Ghaleb e poi Stornelli e sonetti per Gangemi Editore; questo mi ha confermato ancora una volta come sia fortemente grato a tutti coloro che abbiano contribuito in qualche modo alla sua formazione.
L’idea del libro è tanto semplice quanto unica. Si basa sulla scelta di due domande (certamente le più intriganti ed interessanti) che il pubblico gli ha rivolto, più che altro alla fine delle sue conferenze, nell’arco di mezzo secolo, sebbene non ne manchino alcune di diversa provenienza. Due domande all’anno; quindi 100 domande con le relative risposte. In più ha aggiunto per ogni domanda un argomento ipogeo la cui straordinaria bellezza è ben più esaustiva della sottostante didascalia. Quindi 100 domande, 100 risposte e 100 argomenti.
In verità non è proprio così perché Carlo parla anche dell’anno in cui tutto è nato, il 1975 e quindi al sommario vanno aggiunte altre due domande.
A proposito del sommario..., sono andato alla ricerca delle domande che gli feci a suo tempo ed altre che avrei voluto fargli. Ne avevo in mente una decina; le ho trovate quasi tutte. Tra le domande non trovate nel sommario ce n’è solo una che ritengo più importante ed è la seguente: “Siamo sicuri, caro Carlo, che questo sia il tuo ultimo libro? Sei proprio sicuro che non ti possano più venire in mente altre idee circa la Roma sotterranea? ... Io non ci credo...!” Aspetto la risposta.
Sono convinto che ciò che ho fatto io, ovvero ricercare nel sommario le domande che avrei voluto rivolgere all’autore, lo faranno anche i lettori e quando ne troveranno almeno una si sentiranno in parte protagonisti del libro e forse anche uno delle migliaia di persone che lo hanno ascoltato in questo suo Mezzo secolo di Roma Sotterranea.

Risposta (Carlo Pavia)
Caro Carlo, rispondo pubblicamente. Dei 666 ipogei (volutamente... 666) da me studiati, documentati e trattati nelle centinaia di conferenze tenute in questi (primi) 50 anni di Roma sotterranea, nel dossier proposto per questo libro se ne contano solo 100 (anzi, 102, così come giustamente hai notato). Sono chiaramente i più belli, i più suggestivi e i più emblematici; si tratta di veri e propri monumenti. E gli altri? Anch’essi posseggono una grande importanza ma non sono affascinanti al pari dei primi. Si tratta di brandelli di una Roma antica estremamente utili per gli archeologi (specialmente quelli specializzati in topografia come me) ma affatto interessanti per il pubblico generico. Per tale motivo non sono pubblicabili se non su testi tecnici o riviste apposite.