Davide Ghaleb Editore

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TRACCIATI URBANI 1979-1980
Alfonso Talotta


Pictura ex machina

Gianni Garrera

I tracciati urbani procedono da una bravata e da un’astrazione. La regola del gioco, impostata da Talotta alla fine degli anni ‘70, consiste nell’inchiostrare con diligenza dei pneumatici di automobile e farli scorrere sulla tela distesa a terra, sul piano stradale. L’impronta supera la manualità umana della pittura, perché nemmeno il timbrare è eseguito in maniera domestica (apparentemente il gesto potrebbe rientrare nella soluzione pop dell’impiego di timbri) ma un intero veicolo stradale, pilotato alla bell’e meglio, è il super-timbro o il rullo mega-morfo a confronto del quale qualsiasi timbratura umana sarebbe lillipuziana. Tutta l’operazione è ancora un retaggio estetico futurista. La macchina con le sue prerogative e la presenza scenica effettivamente agente, le ruote, l’inchiostro, il meccanismo di azione e reazione, passare sopra la tela con il veicolo e investire la tela, sono atti che conservano un piglio simil-futurista (e le foto che testimoniano l’operazione hanno qualcosa di azioni pionieristiche in tal senso). La macchina fa pittura potenziata. Le scanalature delle gomme producono un nastro grafico, in realtà sono una greca, che rientra nell’araldica più pedestre. L’autovettura è un enorme apparecchio inchiostrato alla base, ne consegue automaticamente l’impronta pittorica, pertanto le funzioni motorie sono dislocate, anzi, traslate, in questo senso il veicolo è astratto dal suo contesto e dalle sue mansioni e diviene una balorda macchina da scrivere, un’ingombrante e pachidermica macchina da ciclostile. Talotta sostituisce gli strumenti pittorici della tradizione con pneumatici, surroga la mimesi con l’ottusità dello stampo. La funzione pratica del veicolo è ridotta a un’auto-rappresentazione. L’inchiostratura è il sistema in grado di fissare esteticamente l’impronta, pertanto, insieme a un nesso con la funzione primaria, risalta un’astrazione che fa sì che quanto avviene dipenda da una relazione estetica, perciò le tracce di pneumatici divengono estranee al loro mondo consueto, proprio per questo offrono il paradosso, ogni volta, della loro esaltazione e promozione a valori grafici assoluti. Si verifica il confluire degli estremi: l’orma stradale di pneumatici e il ricamo. La dimensione naturalistica del medio trova smentita nell’astrazione della decorazione che libera gli elementi dalla correlazione univoca con il mondo dell’automobile e provoca un mutamento nell’ordine estetico, in quanto gli elementi ricevono una significazione nuova e diversa. È evidente che ciò esige appendici supplementari, perché implica il rapporto tra le specie sperimentabili delle ruote e l’impronta di un merletto non più commensurabile solo con il veicolo che l’ha lasciata, in quanto traslata dalla strada, tradotta dall’asfalto alla tela bianca, perciò innestata in un supporto pieno di aura e di aspettative artistiche. Il compito è porre le specie meccaniche, come fenomeni materiali, non nell’ambito loro deputato, ma nel piano donchisciottesco della fantasia, trasformando le relazioni e le presenze naturali e sensibili in relazioni e allusioni sovrannaturali. La traccia automobilistica viene decantata in modo da escludere ogni complicazione ecologica, sono trascesi gli elementi presentati, apparenti e sperimentabili. Eppure quelle tracce non sono altro che un gretto calco materiale, una categoria rigida e grossolana, la quale è al massimo grado lontana da tutto ciò che è personale, autocosciente. Qui il segno è in uno stato di passività e di ridondanza. Lo svuotamento si verifica nella deposizione della figurazione consapevole. La produzione di segni grafici ha subìto una fenomenale riduzione, i segni si sono compromessi con le estreme conseguenze fattuali. Alfonso Talotta attualizza le segnature del mondo, cosicché accanto al campionario delle venature di un marmo o della filigrana di una foglia ci sono anche le impronte dei pneumatici. L’arte si inserisce nella presunzione di una discontinuità, perciò queste impronte rientrano propriamente nel genere dei capricci o delle bizzarrie. Sono decorazioni che non potrebbero gemmare spontaneamente, sono scritture amorfe che procedono da strumenti non pitturali piegati a una funzione pittorica, fuori specie, difficili da inserire in una famiglia estetica, in questo senso possiedono una stramba peculiarità e una singolarità, per cui non hanno alcun consanguineo estetico. Questo esperimento dimostra l’adattamento artistico di una macchina, cui è stata ritagliata una propria nicchia estetica. Il veicolo ha subìto una deviazione evolutiva rispetto a organismi inadatti a funzioni poetiche. Se anche i processi più consueti e insulsi divengono processi artistici, e sono fenomeni giustificati esteticamente, in quanto anche il mondo delle macchine appaga gli impulsi espressivi, le scritture ‘pneumatiche’ di Talotta, chiuse nella grossolanità del proprio schema e della propria operazione, sono gingilli estetici. In questo modo è proprio il congegno della funzione cui è piegata la vettura a indicare una posizione anticlassica collocabile sulla scia degli androidi, perché anche qui si tratta di porzioni automatizzate, perciò con una eminente animazione. La traccia lasciata sulla tela rinvia a una scabra arcadia, i cui solchi non sono soggetti a temperamenti terrestri ma sciolti da un orizzonte, posti in un luogo asettico e sterilizzato come la tela. Rientrano in un’arte senza Natura e senza paesaggio, sono impronte che fanno a meno di un terreno. Trovarsi di fronte a pitture simili significa simulare una condizione e un processo che nelle apparenze e nelle specie esterne simpatizzano con le tracce naturali. Quest’ordine implica impronte indotte che operano ai margini della compatibilità con la condizione naturale, anzi, significano ammiccare agli artifici spontanei delle pieghe naturali. Il dipinto ha un disegno congruo, ma ospita la collisione incongrua tra tela e impronta di pneumatico. Per fortuna il risultato prescinde dall’incidenza della realtà. Le pitture ricavate risultano una collezione di tracce comuni elette a sopportare una trasmutazione poetica. La trovata di inchiostrare pneumatici e investire una tela con l’automobile è presupposta come condizione dell’opera, ma è solo un pretesto. Non è interessante la comprensione realistica del progetto, né la preoccupazione di dare l’illusione di una realtà. Simile arte non è arte che si confronta con le cose concrete per darne l’illusione. Anche se la relazione messa in opera azzera il rapporto con il resto del mondo e con un contesto reale, una tale arte può sempre definirsi fisica perché permette sempre di orientarsi e rimanere nell’ambito di manifestazioni formali e materiali semplici. Talotta, quindi, crede che gli impulsi estetici siano universali, presenti anche nelle macchine, basta mettere gli apparecchi in condizione di esprimersi artisticamente. L’ironia costituisce la presa di coscienza del carattere negativo di questa operazione e del suo paradigma. Talotta elabora un’occasione di segni non integrati, produzioni di ricalco che sono portatori ormai surreali di esiti imprevedibili. Lo stile ironico ha il carattere di non farsi riconoscere subito per tale, pertanto non ostenta alcuna sufficienza. Già l’ironia sembra portare in sé, per sua natura, i germi della surrogazione creativa e può essere considerata un fenomeno peculiare delle epoche in cui la forza creativa è indebolita. Se l’ironia è in genere una forma tarda e senza più possibilità di sviluppo, qui ci si trova di fronte a posizioni estreme dello spirito ludico, sebbene il mondo ironico abbia pure in sé qualcosa di ermetico. Ed è un ermetismo speciale che adotta l’espressione più innocua. L’impostazione ironica si manifesta con la sprezzatura. Infatti, uno dei meriti principali di Talotta è il tenersi su un registro primario, insieme al controllo e al mantenimento di una gamma di apparente ingenuità. È un’ironia dabbene, dominata da una levità che sviluppa un peculiare rigore, perché segue pedissequamente un metodo. La scelta dell’ironia è quella di un mezzo per rinunciare liberamente a un’intera parte del proprio spirito, e ridursi all’ironia della più madornale aderenza a impronte realmente lasciate da pneumatici d’automobile. Attribuendosi una speciale tendenza all’oggettività, si afferma la necessità di inserirsi nell’oggettività di una raffigurazione e dissolversi completamente in essa con l’intento di rappresentarla. Ciò che Talotta chiede a se stesso è che egli sia capace di dedicarsi al proprio oggetto con tutta la necessaria scrupolosità. La verità si manifesterà attraverso questo processo negativo: applicarsi all’esecuzione ironica di un risultato di un’ottusità ideale. La tradizione pittorica astratta si coniuga con un mondo che si rivolge a un materiale pragmatico e stereotipato. Il rapporto si basa sulla ripetizione di uno schema, che si riduce a un’innocente convenzionalità, familiare nell’insieme e nei dettagli ma aleatoria nelle condizioni in cui è posta. Non si tratta, però, di un limitante gioco parodistico. Nessun sarcasmo, nessuna freddura ma un’apparente immedesimazione, un’invenzione non smaccatamente spiritosa, nessun tratto caricaturale, ma in senso estetico una neutralità e aderenza al dato di fatto. Meglio sarebbe dire che è una creazione che segue l’originalità di ciò che è tipico di una formula che si è impoverita fino a diventare un possibile schema iconico, fino a essere la ripetizione di modelli stabiliti e proporre identificazioni così pedestri da diventare ermetiche. La pittura si riduce all’aderenza ad una raffigurazione dal ben definito valore, che in tal modo contribuisce a fissare ulteriormente le sue componenti puerili. La ripresa dello schema di una matrice predeterminata industrialmente serve a semplificare ulteriormente un rapporto figurativo già semplificato in quegli anni di non-pittura per l’arte italiana. Parodiando la fonte del rapporto di riverenza verso gli esemplari, il panorama si riduce a una scenografia di una significazione elementare. L’ironia sta nella struttura della timbratura della tela, da cui procede il valore funzionale della soluzione ironica. La dissimulazione di uno stile standardizzato è ironica. Si perviene a una rassegna di strisciate che riproducono grezzi merletti con coerenza e metodo attraverso l’accentuazione, quasi l’esasperazione, di una tintura ricavata dal principio dell’inzaccherare. Alla pretesa di un’epoca di essere alla soglia dell’emancipazione dalla pittura, Talotta risponde con la sintesi di un barbarismo grafico. L’ideale è quello di una pittura dedita alla pratica da carta assorbente più pedestre. La servitù della riproduzione è affrancata dalla libera ispirazione. È una corvè pittorica industriosa nello spirito ristretto d’imitazione. Ne derivano tele che sviluppano solo la loro qualità d’impronta. Ciò segnala un momento storico della crisi dell’immagine che si manifesta in questo rapporto parassitario: enigmi improbabili, composti di residui supponenti della civiltà e del progresso. La frammentazione dei tragitti del veicolo, censurati dalla lunghezza relativa della tela di volta in volta impiegata, produce significati rapsodici. Ciò che interessa Talotta è focalizzare il luogo convenzionale di un dipinto in tutta la sua schiettezza, cioè nella sua docilità originaria ad aderire alla verità della sua registrazione, senza implicazioni e preoccupazioni spirituali, per ottenere l’illustrazione di una matrice. Pertanto viene perseguito il contorno del risaputo ma impaginato in una maniera spiazzante. Il carattere irrimediabilmente retrivo della rappresentazione genera una raffigurazione elementare. L’immagine dovrebbe essere la reificazione di un mondo noto. Talotta opera con un regime di segni privi di implicazioni, non indicatori di un significato, ma di un’esperienza che non rispetta più le funzioni della macchina ma ne fa un uso improprio, bislacco e infantile, in quanto ha perduto ogni contatto con ciò che presuppone. Proprio la ripetizione ‘ricopiativa’ di segni, ne impedisce un uso simbolico superiore, Anzi, questa deriva di segni qualsiasi li fa essere rappresentanti scheletrici, non enigmatici, tutt’al più enigmistici, cioè non spirituali ma spiritosi, di una cultura iconica di cui non esiste una nozione. Si tratta di attenersi alla scorza, non ritracciare il nucleo ma aderire alla superfice, alle vestigia, senza bisogno di avere la conoscenza del significato interiore delle segnature. Sono segni che non danno conoscenza di virtù interne, tutt’al più di un’energia che risiede a monte. Talotta, da grande innaturalista, ha pure una certa grazia quando si prende gioco della curiosità di alcuni, ignoranti delle virtù interne indicate dalle segnature, che cercano di applicarsi al sapere di decorazioni esoteriche. Infatti, all’interno della dottrina delle segnature, si comparano le piante, cioè le stelle terrestri, alle stelle celesti, come se le stelle fossero la matrice delle erbe, ed ogni stella del cielo non fosse altro che prefigurazione spirituale di un’erba che essa rappresenta. E così, come ogni erba o pianta è una stella terrestre, allo stesso modo ogni stella, a causa della reciproca simpatia, è una pianta celeste non differente dalle terrestri se non per la materia. Ne dovrebbe conseguire che anche un artefatto come un pneumatico ha la sua analogia con il tessuto di una pianta o di una galassia, pertanto anche l’artificio diviene partecipe naturale della Natura. Le cose basse mostrano quelle sublimi, le corporali quelle spirituali, la natura delle cose terrestri e inferiori ha analogia con le proprietà celesti, perché gli esemplari inferiori sono il marchio delle cose superiori e il simbolo delle realtà interne ed invisibili conduce alle realtà eterne e spirituali. Allora il marchio di pneumatico è il reticolo di quale realtà spirituale? Rinvia a quale traccia celeste? O è solo la parodia di una corrispondente segnatura celeste? Ma se si accetta che l’archetipo abbia in sé spiritualmente tutte le cose che appaiono visibilmente e che la comprensione di tutte le cose sia non solo interna ma anche esterna, non solo naturale ma anche artificiale, pretendere che i segni rivelati di pneumatico abbiamo un archetipo celeste è un assunto dabbene, è sperare di trovare dello spirito in un tracciato che è solo spiritoso? Il mondo inferiore è governato dal superiore dal quale prende l’influsso delle proprie virtù. Ci si deve attenere a segni di intelligenza i cui tratti siano attinti dall’essenza della creazione, ma nel caso di pneumatici non è possibile verificare l’intelligenza dei segni, attraverso i cui simboli dovremmo essere condotti, secondo questa teoria, alla conoscenza di tutte le cose, passando dalle forme esterne alle cose intellettuali, dalla circonferenza al centro, come scriveva Osvald Crollius, nel Traicté des Signatures, Lione 1624. Tutto ciò che può la possanza inferiore lo può anche quella superiore con maggiore eccellenza ed efficacia. Il mondo angelico ha in sé tutte le cose angelicamente, contiene, cioè, in sé la macchina visibile del mondo; e tutto ciò che possono l’arte e la natura, o la natura per mezzo dell’arte, lo può meglio un angelo o spirito elevato e costituito al di sopra della natura e dell’arte. E di fatto in un angelo tutta la massa del mondo non è che un angelo, similmente tutta la macchina del mondo è angelicamente ricongegnata nell’angelo. In questo ordine di pensieri, l’impronta di pneumatico quale corrispondenza angelica possiede? Può essere imparentata spiritosamente con le ruote angeliche, cioè con gli Ophanim? L’impronta ha, dunque, un’affinità angelica, lascia un segno analogo alle ruote angeliche del Carro del trono celeste descritto da Ezechiele (1, 4-26 e 10, 9). Quelli lassù sono quattro angeli cherubici (Khayyot), che formano la struttura del carro celeste. I piedi degli angeli sono delle ruote viventi, pertanto vi sono angeli supplementari, chiamati ‘Ruote’ (Ophanim). Nel momento in cui gli Animali angelici si muovono, anche le Ruote si muovono, poiché lo spirito degli Animali santi è nelle Ruote. Quando gli Animali santi avanzano le Ruote avanzano; quando si arrestano, esse si arrestano. I cherubini meccanizzati possono muoversi nelle quattro direzioni senza voltarsi. Si tratta di anatomie occulte e di ordigni o gingilli angelici. Le Ruote-Ophanim fanno parte della macchina che ha il compito di trasportare il trono di Dio da un punto all’altro del paradiso. Come l’energia del carro celeste confluisce nel movimento delle ruote, l’impronta lasciata dalle ruote angeliche contiene in germe tutta l’energia serafica, perché gli angeli-Seraphim sono il motore del movimento costante e continuo del Carro. Pertanto anche di fronte ad un pretesto urbano come quello delle impronte di pneumatici, è necessario tenere presente la corrispondenza delle segnature tra il macro e il micro mondo, e accettare che la misera impronta di pneumatico rinvii, al di fuori del mondo formale, addirittura all’impronta delle sante ruote celesti e che debba essere ammirata come l’analogia di una traccia angelica traslata sulla terra, cosicché è giusto, come fa Talotta, che l’intera operazione vada a costituire per noi l’equivalente di una ‘sindone’ angelica.