LEPASSEGGIATEDELSANTOEDITORE
"DAI LAVATOI ALLE LAVATRICI"

HOME COLLANE EVENTI PRODUZIONI MUSEO
LIBRI ON-LINE FILMATI NOVITÀ CONTATTI

Quando nelle nostre abitazioni non erano ancora presenti le lavatrici o, ancor prima, quando, in casa, mancava l'acqua corrente, gli indumenti venivano lavati in un luogo pubblico che prendeva il nome di lavatoio. (Arnaldo Natali, I lavatoi di Vetralla, a cura di Vetralla Città d’Arte, Ghaleb Editore 2004)

LEPASSEGGIATEDELSANTOEDITORE

Sabato 3 AGOSTO – ore 21.30

Appuntamento presso
casa editrice Davide Ghaleb, via Roma 41 – VETRALLA

DAVIDE GHALEB EDITORE e
BANDA DEL RACCONTO
PRESENTANO

DAI LAVATOI ALLA LAVATRICE
Dai racconti della povertà contadina
alla solitudine del benessere consumista:
Che cosa abbiamo guadagnato?
Che cosa abbiamo perso?

A spasso per i lavatoi di Vetralla
in compagnia di Bellini, Cardarelli, Giannitrapani,
Marro, Tonnicchi, Zanzotto

passeggiata/racconto di e con Antonello Ricci
con la partecipazione della Banda del Racconto

“Pillole” storiche di Andrea Natali
sulla vita quotidiana ai tempi della Vetralla contadina

IMMAGINI

 

Biglietto di ingresso a persona:
acquisto di un libro dal
catalogo della casa editrice.
in omaggio la Planimetria Ricostruttiva
del centro storico di Vetralla
(a cura di E. De Minicis, E. Guidoni)

Evento realizzato con il patrocinio della
PRO LOCO VETRALLA
e in collaborazione con
Paper Moon, Agenzia Viaggi e T.O.

 

Ci fu un tempo di sasso e acqua gelida. Un tempo di sapone povero, fatto a mano. Un tempo di geloni, dolori reumatici, artriti deformanti.
Ma esso fu anche tempo di ciarle allegre, focolare di racconti, agorà di condivisione e scambio per cose e gossip: tanto che ancora oggi qualcuno sentenzia lavare i panni, ma veramente intende spettegolare.
L'acqua corrente arrivava in casa soltanto ai Soliti Pochi. Le popolane invece dovevano uscire e andarsela ad attingere alle pubbliche fonti. Andavano, col loro passo inconfondibile e la coroja in testa. Acqua per tutti gli usi. Allora lavare i panni significava darsi appuntamento al lavatoio. Incontrarsi. Raccontare.
A un certo punto però, era il secondo dopoguerra, i lavatoi spiccarono il volo: in un primo momento si limitarono a traslocare dai bassi comunitari, fin sopra le soffitte, sui tetti dei nuovi condomini.
Ma venne poi l'inesorabile Dio Progresso a sradicare per sempre, con l'usanza antichissima di battere lavare strizzare insieme i panni, quella di raccontarsi pettegolezzi e storie: la lavatrice esiliò definitivamente il tempio dell'igiene, consacrandolo alla solitudine nel privato appartamento della famiglia nucleare. Come la scatola per fare il freddo e quella parlante, il lancio sul mercato di questo elettrodomestico inusitato marcò il principio della fine di un ordine millenario. Pilotando e simboleggiando l'espandersi dei consumi e l'avanzata del benessere, è vero. Ma anche spegnendo, una volta per tutte, piazze di racconti e di baratti, di consigli reciproci e di reciproci conforti.
Da quegli imbarazzanti ruderi del nostro appena-trapassato prossimo, cadenti a pezzi nell'incuria e nella smemoratezza delle nuove generazioni, riaffiora comunque, a tratti, il melanconico epicedio a una diversa pedagogia di cose, che molto avrebbe ancora da insegnarci: se non nella direzione di un perbenismo consumista politically correct, almeno in quella di una virtuosa condivisione dei racconti come moneta di buon conio per una miglior felicità sociale. Che cosa abbiamo guadagnato in quel passaggio epocale che abbrutì in un attimo al rango di inutili macerie, di fossili anacronistici, i mille lavatoi puntualmente confitti nel cuore e tutt'intorno ai nostri centri storici? Che cosa abbiamo perso?
Cercheremo di scoprirlo insieme, sulla scorta di alcuni scrittori dialettali e di letterati di vaglia di Tuscia e di Maremma (Luciana Bellini, Angela Giannitrapani, Vincenzo Marro, Elio Tonnicchi) ma anche delle pagine di alcune fra le maggiori voci del nostro Novecento (Vincenzo Cardarelli e Andrea Zanzotto). Si tratta di pagine consacrate al cicaleccio tipico di un antico e povero mestiere, che al poeta dové sembrare spesso, più che mestiere fra gli altri, destino vero e proprio: quello della lavandaia.