Prendi un luogo ameno, un agglomerato di case in   cima ad un'alta collina, aggiungi un prete di quelli di una volta, rude di mani   e di modi, circondalo di teste calde, baroni in declino, sindaci affannati,   perpetue petulanti, villani arricchiti, ponili sullo sfondo del “progresso che   avanza” e condisci il tutto con due pomodorini “a scocca”... ecco gli   ingredienti di questo racconto, a metà tra Storia e fantasia, realismo e   caricatura, quasi una retrospettiva di un passato visto con gli occhi impietosi   del giudice contemporaneo che la storia l'ha già interpretata e incasellata in   categorie prestabilite, ma che si lascia andare alle inevitabili - e, a dirla   tutta, volontarie - cadute nella nostalgia per una sicilianità ormai sopita ed   edulcorata ma mai veramente perduta... almeno non da quelle parti. 
              A Raccale   tutto è fermo, stabile, immobile come le Eolie che si stagliano in lontananza...   poi, in tre giorni tutto cambia, con una progressiva accelerazione come di una   locomotiva fumante e sbuffante che, inesorabile, attraversa le vie e le vite del   paese e lascia dietro di sé larghe chiazze nere di carbone e petrolio. 
              Non si   può ignorare quel rumoroso passaggio... lo sa bene Don Antonio Badìa,   involontario ma lucidissimo arbitro di una partita giocata da troppi giocatori   ed a carte quasi sempre coperte. E per scoprire le carte deve scendere in campo   anche lui, entrare nel meccanismo fino quasi a riscriverne le regole,   interpretare ruoli diversi al cospetto dei diversi interlocutori, muovere le sue   pedine controllando, al tempo stesso, il movimento di quelle più ribelli, il   tutto brandendo sempre l'inseparabile ramo di ulivo. 
              E come conciliare le   posizioni estreme di chi difende i propri interessi? La casta e il popolo, la   Chiesa e la borghesia, nel piccolo microcosmo raccalese in cui emergono,   accompagnate da profumi senza tempo, fortissime figure femminili... e Don   Antonio in mezzo, a gestire, fare, parlare, a rompersi la testa, a cercare   conforto e ispirazione nella terra e nella Parola, mentre dall'altra parte le   teste calde, i villani rivoltosi, si rifugiano nel nido della letteratura “alta”   che diventa il trait d'union tra mondi che, in tempi diversi, non si sarebbero   mai incontrati. Ma questo è il progresso, il segno dei tempi, la prima stilla di   cambiamento che però ancora sfugge e si confonde nel caldo vento di scirocco...   per dirla col poeta  
                […] inafferrati eventi,  
                  luci-ombre, commovimenti  
                  delle   cose malferme della terra [...]  
                  […] e nel fermento 
                  d'ogni essenza, coi   miei racchiusi bocci che non sanno più esplodere oggi sento la mia immobilità   come un tormento. 
                  (E. Montale)  
                 |