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Il tema della quarta edizione del progetto Banca del Racconto è Latifondo e Feudalismo”. Comunità, paesaggi, storie della Tuscia. Racconti come patrimoni identitari da valorizzare per un armonico sviluppo culturale ed economico del nostro territorio.

La parte scientifica e artistica del progetto è curato dalla Banda del Racconto formata da Alfonso Prota (attore, performer, illustratore), da Antonello Ricci (regista e studioso) e da Marco D’Aureli (antropologo), mentre la parte organizzativa è curata dall’associazione Percorsi, nella figura di Elisa Maurizi.

Il progetto lavora sul Territorio e i suoi paesaggi a partire dai patrimoni narrativi. L’obiettivo è restituire alle comunità interessate i patrimoni orali raccolti con l’interesse di un buon tasso di fruibilità collettiva e sociale dei saperi comuni e popolari.

Attraverso una prima fase di dialogo con soggetti di mediazione culturale attivi nelle comunità (musei e biblioteche, scuole e centri per anziani, associazioni culturali e di promozione delle tradizioni e dell’immagine

turistica locale), gli operatori identificano uno o più “focolari” narrativi di rilievo rispetto all’identità comunitaria.

Nella seconda fase gli operatori raccolgono racconti con l’ausilio di adeguata tecnologia video-audio e nel rispetto degli elementari della ricerca sul campo così come definiti dall’antropologia culturale e dalle altre scienze sociali.

Nella terza fase i racconti vengono trasformati e restituiti al territorio.

 

In questa direzione operatori e narratori locali contrattano e definiscono le forme di una restituzione narrativa alle comunità: potrà trattarsi di un video, di un libro, di conferenze o lezioni-spettacolo, di spettacolo tout court, di una mostra, di passeggiate-racconto o di vere e proprie visite guidate.

Una delle caratteristiche principali del progetto è il radicamento sul territorio, protagonista assoluto, attraverso il coinvolgimento dei cittadini e una serie di collaborazione con Enti locali ed Associazioni culturali, enti privati, compagnie teatrali che lavoreranno insieme per una sostenibilità socio culturale del territorio.

La prima restituzione al territorio è prevista per domenica 18 dicembre alle ore 15.30 presso l’Ex mattatoio a Montalto di Castro (Viterbo).
Sono previsti altri incontri a Tarquinia e Viterbo nel mese di gennaio 2012.

 

Un progetto a cura di
Associazione Percorsi - Banda del Racconto - Officina Culturale della Tuscia

Sostenuto da Regione Lazio, Assessorato Cultura Spettacolo Sport

in collaborazione con Associazione Tltana Libera Tutti di Montalto di Castro e Comune Montalto di Castro

LA BANCA DEL RACCONTO

QUARTA EDIZIONE

IL LAVORO DA BUIO A BUIO

Latifondo e Feudalismo

Primo appuntamento
domenica 18 dicembre, ore 15.30
presso Ex mattatoio a Montalto di Castro (Viterbo)

 

 

La realizzazione dell’annualità 2011 è resa possibile grazie alla collaborazione e la partecipazione finanziaria dell’Officina Culturale della Tuscia diretta da Marco Schiavoni finanziata dalla Regione Lazio Assessorato alla Cultura Arte e Sport. Il progetto ha visto la collaborazione del Comune di Montalto di Castro, Tarquinia e l’Associazione Tana Libera Tutti di Montalto di Castro.

Banca del Racconto e Arci Percorsi aderiscono alle “Giornate nazionali di occupazione culturale” all’interno della campagna Abbracciamo la Cultura.

Contatti Tel/fax             0761/329478      . - Cell.             393 9211339      . - e-mail: culturavt@arci.it

 

PER SAPERNE DI PIU'

DA BUIO A BUIO. LAVORO CONTADINO E LATIFONDO IN MAREMMA AI TEMPI DEL "FEUDALISMO"

L'ordine millenario del latifondo. Un esempio per tutti: Dio in cielo, Torlonia in terra. Più giù, i guardiani del principe. Più giù ancora, i cani dei guardiani. Poi nulla, poi ancora nulla, poi ancora nulla. Nulla. Solo alla fine vengono i cafoni. I da-sempre-senzaterra. Il lavoro da buio a buio. Dalla levata alla calata. La chiamata in piazza. Il “feudalismo” dei caporali. La tirannia delle compagnie. Andare per maremme. In carro o a piedi. Perderci la dama. Perderci le penne. Ma. A un certo punto. All'alba del Novecento, la storia irrompe sulla scena. Fa le sue prove. Vorrebbe infrangere questo cosmo adamantino. Tanto ingiusto quanto perfetto (compiuto). Leghe, sindacati, cooperative. Si smuove il fango dal fondo del padule. Le prime occupazioni risalgono al decennio giolittiano. Poi quelle del primo dopoguerra (le promesse, le aspettative e le speranze dopo Caporetto). A seguire: delusione degli ex-combattenti e repressione delle vertenze terriere sotto il fascismo. Bonifiche e appoderamenti in direzione mezzadrile. Checché se ne dica: il latifondo non si tocca. Ma la massa dei senzaterra si riaffaccia con forza nel biennio 1944-1946. Con nuove occupazioni. Da Tarquinia a Montalto. Anche nell'interna collinare di Maremma (Ischia di Castro, per esempio). Poi la Riforma Agraria. Il cinghiale trafitto dalla freccia. Ministro Amintore Fanfani. I bianchi casali dell'Ente come navi veleggianti nella piana. “Metteremo l'illuminazione nei poderi, potrete lavorare anche di notte!” Ma è una riforma fuori tempo massimo. Perché insieme col latifondo muore anche il mondo contadino. Un mondo fatto di veglie narrate e di sapienza nelle mani. Appena pochi anni dopo: i figli abbandonano i poderi. Con gioia! Fuggono. Corrono alle città, alle attività terziarie, a fare gli impiegati. Inseguono il benessere. Rimuovono povertà e umiliazioni. Ma recidere radici porta frutti velenosi. I casali abbandonati diventano presto rovine di una remota Dopostoria. E viene, ineluttabile, il tempo del “progresso scorsoio”, il “presente remoto” (Zanzotto, il poeta, docet) dell'omologazione consumista.