RONCIGLIONE E RIO VICANO
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Dopo il bel successo a Oriolo Romano
e all'Arcionello (Viterbo)

LEPASSEGGIATEDELSANTOEDITORE
CHIARE FRESCHE DOLCI ACQUE
TERZO APPUNTAMENTO

Domenica 27 ottobre – ore 10.00
appuntamento presso la porta Romana di
RONCIGLIONE


DAVIDE GHALEB EDITORE
e
BANDA DEL RACCONTO
PRESENTANO

RONCIGLIONE E RIO VICANO
Storie di uomini acque ferro carta

di e con Antonello Ricci

con la partecipazione di
Olindo Cicchetti
e le pillole storico artistiche di
Italia Vinciguerra

A spasso per il borgo medievale di Ronciglione
divagando sulle “sponde” del bel libro di
Italia Vinciguerra
La valle del Rio Vicano a Ronciglione
(Davide Ghaleb editore 2009)

Biglietto: acquisto di un libro a scelta
dal ricco catalogo di DG editore

Evento realizzato
in collaborazione con
Paper Moon, agenzia viaggi e T.O.

IMMAGINI

«LE ROCCE, VOGLIO DIRE»
A Ronciglione... senza bisogno di riposo...

Un emissario artificiale scavato ai tempi degli etruschi e dei romani.
L'acqua che defluisce dal lago va a incanalarsi per una forra naturale. Gorgoglia argentina.
Più a valle, c'è un tetro castello medievale, un borgo che gli si acciambella ai piedi, uno strapiombo che dal rio risale su, fino al borgo. Si chiama rio Vicano.
La gola è stretta, la pendenza è buona, il luogo si affolla di opifici: soprattutto ferriere e cartiere. XVI e XVII secolo, armi da guerra e libri (freschi di torchio: la prima edizione dell'Aminta di Torquato Tasso, la Secchia rapita del Tassoni). Archibugi e ottava rima. La nostra via, faticosa e contorta – ipocrita, tutta papalina – alla Modernità Borghese: una modernità stenta, dannata a nostalgie feudali e preindustriali. Nel 1609 un poeta parruccone accademico di provincia dispiega nel suo solenne latinorum un inno all'operosità della forra. Mentre lassù, in alto, una accelerazione urbanistica nobilitante e “autostradale” allontana il borgo medievale, lo colloca “in quinta” fino a dimenticarsene.
Ma gli uomini, che non sanno stare fermi, tornano a ricordarcelo: pennelli e tavolozze, tele e fogli di viaggiatori-artisti del calibro di Vanvitelli, Robert e Fragonard, Turner.
Tra l'alba del XVIII secolo e quella del XIX, dal pittoresco elegante al sublime romantico: pittori fiamminghi francesi inglesi scendono a sporcarsi le scarpe nel fango della forra, piazzano i loro cavalletti sulla strada che costeggia la sponda sinistra di rio Vicano (sentiero oggi cancellato dall'amnesia di rovi e ortiche), guardano in alto, sognano una quintessenza di bellezza. Raccontano al pubblico colto europeo il fascino di quell'orrido vulcanico, di quelle pareti a picco. Ma anche bozzetti di vita quotidiana: donne che scendono giù dal borgo a lavar panni, gente che suona e canta per cerimonie e dì di festa. Il mito continua: dalla metà dell'Ottocento all'alba del Novecento: da Charles Dickens (il quale, raccogliendo il mito di un'Atlantide sprofondata in fondo a Vico, forse non sapeva di star a dialogare col manierismo tardocinquecentesco dei fratelli Zuccari, Ercole e la sua clava) al camminatore franco-inglese Hilaire Belloc (esausto, ai piedi della rupe di Ronciglione, affascinato da quel paesaggio, sentiva bisogno di un ristoro per il corpo, non certo per l'anima).
Poi venne il ponte in ferro della ferrovia, a cavalcar spavaldo la gola. D'un colpo solo.
Ma era già un'altra storia.