IL COLOMBIANO
Tell Me Again About The Night I Was Dead

HOME COLLANE EVENTI PRODUZIONI MUSEO
LIBRI ON-LINE FILMATI NOVITÀ CONTATTI



IL COLOMBIANO
Tell Me Again About The Night I Was Dead

SABATO 16 NOVEMBRE – ore 19.30
Forte Fanfulla
Via Fanfulla da Lodi, 5 (Pigneto)
ROMA

BANDA DEL RACCONTO
e
MYLIAC

PRESENTANO

IL COLOMBIANO
Tell Me Again About The Night I Was Dead

introduce Antonello Ricci

regia di
Alfonso Porta

Musiche di
Myliac

con
Michela Benedetti
Pietro Benedetti
Domenico Coletta
Olindo Cicchetti
Sara Grimaldi
Vincenzo Prota

"IL COLOMBIANO"
esce per
DAVIDE GHALEB EDITORE

ACQUISTA IL LIBRO

Il Colombiano, racconto metricatodi Antonello Ricci (Il Colombiano. Di adozioni & altre biologie, Davide Ghaleb Editore, Vetralla 2011) è una fiaba d’amore. Una storia di padri e figli. Un racconto autobiografico. Al filtro della scrittura, paure sentimenti desideri di una esperienza straordinaria: l’adozione da parte dell’autore, nel maggio 2004, del suo secondo figlio, Juanco (Juan José).

Ma occhio al sottotitolo: ogni padre adottivo si renderà conto, prima o poi, che in amore non c’è differenza. Tra paternità e paternità. Tra seme e seme. Perché ogni adozione è biologia. Perché ogni biologia è in realtà un’adozione. Il Colombiano è insomma un elogio del seme bastardo. Un nudo inno alla bellezza della vita. L’arrivo di Juanco ha gioiosamente spedito gambe all’aria la vita di Ricci: da una parte rafforzandone il rapporto d’amore col primo figlio, Lorenzo (autore delle stralunate illustrazioni del libro); dall’altra riportandolo, «attraverso la terra dei ricordi», al tempo in cui anche lui era un figlio: figlio di un figlio adottivo a sua volta, perché orfano.

Ma Il Colombiano è anche un omaggio: Juanco è nato il 25 aprile 2003 a Medellín. Insomma è concittadino di Fernando Botero e dello Juanes di Camisa negra, una canzonetta che tutti avrete canticchiato, almeno una volta, guidando nel traffico o mentre vi facevate la barba. Purtroppo Medellín è anche famosa, e dolente, per la leggenda di Pablo Escobar e per il cartello del narcotraffico, per la Virgen de los Sicarios e per quei killer-ragazzini che, devotissimi, ogni giorno le consacrano pallottole. Così Il Colombiano si presenta pure come una fantasia horror, una dichiarazione d’amore alla città «funesta e aerea» che i Colombiani stessi considerano la Napoli di Colombia.

Il libro narra gli ultimi istanti del consueto gioco serale tra un padre e un figlio, «di semi diversi, prima dispersi poi ritrovati». Come ogni sera, alla fine del gioco, già sotto le coperte, il figlio chiede al padre: «mi racconti una storia?». Lui acconsente. E racconta. Tutte le sera una stessa fiaba: «quella del bambino che non dormiva mai». E quando il ragazzino si addormenta, il padre si perde nel dormiveglia dei suoi ricordi. Finché anche lui sprofonda nel sonno. A questo punto, dal corpo del figlio addormentato si desta lo spettro del «sangre», il morto-vivo di un passato che non passa mai, ignobile e feroce. Si desta e parla parla parla.

Il Colombiano è un racconto in versi. Strutturato in quattro quadri, ciascuno dei quali si sviluppa come variazione su una diversa tipologia testuale: dal ritratto del ragazzino, svolto a forme liriche, a un particolare genere di fiaba aperta; dal racconto in flashback al monologo teatrale vero e proprio.

Ma Il Colombiano è anche e soprattutto un concerto-reading. Con Alfonso Prota in cabina di regia. E la musica dei Myliac che asseconda e innerva tutta la performance, dal dolce avvio serale al suo compimento notturno e visionario, quasi spiritico. Dai vicoli di Viterbo alle Comunas di Medellín: fra tuguri che si arrampicano sulle montagne come mucchi di spazzatura, vero e proprio «inferno che si aggrappa al cielo», regno incontrastato dei sicari-ragazzini. Anche per Prota, andrà detto, Il Colombiano si configura come faccenda di padri e figli: nel quadro quarto infatti (il momento più indemoniato, più urlato rappato guappato), il regista si ritrova al leggio fianco a fianco con suo padre Vincenzo, a leggere un impasto di ispano-napoletano che lo riporta alle più intime e remote radici partenopee della sua famiglia.