Nota critica di Annamaria Ferramosca

Si respira pura passione in questo Racconto Metricato che è poesia in prosa forse, più che semplice prosa poetica. Certamente si tratta di un racconto che mi ha tenuto febbrilmente incatenata-incantata alle pagine, lungo tutte le 80 del libro. Perchè l’affabulazione fluisce naturale e si avverte la profonda partecipazione dell’autore alla vicenda narrata, filtrata dal suo appassionato costante impegno civile e sociale sul territorio. Antonello Ricci è infatti da molti anni operatore culturale dell’area viterbese, dove scandaglia tradizioni e umori con la sua capacità di mettersi  in ascolto dal basso, ricercando e ricomponendo le voci autentiche delle comunità locali. Voci fragili oggi, perchè sul bordo precario della dimenticanza, che chiedono d’essere salvate.
          La vicenda narrata è una di quelle che ha lasciato tracce emotive ancora vive nella gente di questi luoghi e Antonello Ricci la restituisce come in una sequenza cinematografica da film del realismo, ma con l’originalità del suo poetico racconto metricato, appunto.
          Così, reali e vivissime appaiono le figure di Gemma bella e impietrita, del giovane Antonio vittima annunciata, di Valerio che alla fine conosce la cruda verità sul fratello e la ragione per cui è stato espropriato dell’amore materno. Vita e morte raccontate con  un  periodare  in versi come da cantastorie degli anni 50, sui cartelloni viaggianti di paese in paese, ma senza traccia di istrionismo, piuttosto con la passione etica che solo l’amore per la propria terra e un forte spessore di umanità e cultura possono trasferire al racconto.
             Un memorabile microcosmo di figure  trascina e commuove, come nonno Olindo-Don Chisciotte, ancora la madreGemma- furiosa che affronta il Podestà, Edoardo il fabbro podista che vince alzando il pugno chiuso gridando Libertaria, nome della ragazza amata, o forse Libertà…
Tutto accade in un  paesaggio che anch’esso si fa voce, emergendo dalla memoria dell’infanzia e assumendo quasi un ruolo di coro, papaveri e peperino della cava, le strade intagliate nella roccia, il vecchio molino, la cartiera…
          E infine il massacro, la vergogna insopportabile. Su cui s’innalza il gesto di altissima dignità di Valerio, che supera la vendetta e l’orrore con il suo sparo verso il cielo. Metafora rivelatrice di un’altra soluzione: di come l’atrocità può soccombere alla volontà di ricostruire una dimensione altra, di ritrovata umanità.
         Un piccolo grande poema epico, che vale più di un libro di storia.

8 agosto 2009