Nota dell'autrice

Perchè «Il Funare»?
Sono così chiamati quegli spazi (alcuni esistenti ancora nei nostri paesi) dove, con rudimentali macchine, si producevano corde e funi, intrecciando e avvolgendo le forti fibre della canapa, coltivata negli orti del viterbese e macerata nelle pozze del Bulicame.
Il Funare di Vetralla, su cui amavo affacciarmi da un'alta finestra, è per me oggi un luogo, anzi un nome fortemente evocativo. Mi affacciavo sul mondo, imparavo a conoscere la minuta umanità che frequentava il luogo e, sollevando lo sguardo, scoprivo quanto potevano essere belli gli alberi, i campi verdi, le montagne azzurrine…
All'alba della vita, vi percepivo il senso degli orizzonti lontani, il respiro degli spazi senza fine. E, insieme, il primo barlume della piccolezza e finitezza di me stessa

Ma v'è dell'altro. Costruire una fune, significa intrecciare, avvolgere, anche operare lungo una linea retta orizzontale. Per noi, di cultura occidentale, è la linea della storia. Anche la linea delle storie individuali o, meglio, del sottile ma fortissimo filo della memoria...
Una costruzione o ricostruzione che conosce intoppi, rifiuti, ritorni indietro, accelerazioni febbrili. Suo stimolo e alimento, il vissuto di ogni giorno, le emozioni, le riflessioni del presente e sul presente. Compagni, il dolore e la gioia, l'umiltà e l'orgoglio e – sempre – un sentimento di gratitudine alla vita. Un percorso anche lungo (secondo i destini di vita), ma che ineluttabilmente giunge alla fine quando la forbice fatale lo spezza per sempre.
V'è anche da sperare – timidamente – che, per amore e amicizia, altri vogliano con benevola curiosità fare alcuni passi su questo percorso fatto di parole (belle o brutte, non so, poco importa...), sfogliando le pagine di questo «Funare».