Nota critica di Sara Zanghi

Questo nuovo libro di Teresa Blasi Pesciotti, che si presenta con strumenti espressivi notevoli, ha la valenza di una testimonianza affidata alla memoria.
Una memoria che vede da lontano, dalle alture di una saggezza acquisita in forza di un rigoroso tirocinio etico e psichico,  e non si lascia sfuggire le sfumature grazie alle quali, anche nel ricordo, l’apparizione del mondo esterno talvolta assomiglia a una visione.
Ricordi che non sono semplici annotazioni di ciò che del passato rimane nella mente, ma ricordanze, nel senso leopardiano, ossia il ricordare con l’animo di ‘allora’, percepire la risonanza che persone luoghi eventi affetti hanno suscitato nel loro lontano presente.
Perciò questo libro è il diario di un viaggio nel passato del quale l’autrice rivive tappe e avvenimenti, conducendoci verso territori in cui il piacere di esistere travalica lo sconforto e la negazione.
I testi poetici e quelli in prosa si richiamano per il loro essere rievocazione o rappresentazione densa e quieta di un momento pieno, pervaso di emozione e di stupore. Il paesaggio non è fondale, ma evento suggerente riflessioni e sentimenti e mai lasciato alla nostalgia, grazie alla pregnante concordanza dell’autrice con il cosmo.
La sua attenzione per la vita semplice delle cose, per l’oggetto, il particolare, l’individuazione precisa del nome - come, ad es., nella descrizione dei prodotti sugli scaffali del caffè Blasi - ci ricorda quel “realismo in funzione lirica” che non trasfigura l’oggetto in simbolo analogico, ma lo riconduce alla polarità affettivo-naturalistica del rapporto tra l’io e l’universo.
Un andare quindi dalla cultura alla natura, dal mondo umano al mondo cosmico, come si evince dalle presenze evocate nell’opera di Teresa. Creature animate sono anche quelle del regno animale e vegetale, lei si rivolge a una rosa come a una fanciulla:
“Nel verde giardino, tu sola risplendi// Ma il tuo grido di luce le altre ha risvegliato… / Come tante fanciulle agghindate alla festa / hanno vesti di vari colori, di rosso velluto, di seta di rosa sfumato e deciso…

Percepisce la solitudine di un cigno e lo sente fratello:
“La tua solitudine, cigno regale,/  non è compagna/ alla mia./ Non vaga incerta e dolente / per luoghi scoscesi e sentieri diversi. / Eppure il mistero, che per me / alla tua si accompagna/ ti fa – pallido uccello  / fratello in quest’ora che abbuia.
Una consuetudine simile a quella ricorrente anche nelle poesie di Wislava  Szymborska che conversa sovente con altri regni non perché creda sia possibile, ma perché riconosce che l’immaginazione si nutre anche di comunioni tra mondi lontani.

Ho detto all’inizio che il libro di Teresaè anche una testimonianza. E di più: è una rivelazione d’amore per il suo luogo natio, vissuto da altrove come non si fosse mai allontanata. Amore per le persone care del presente e per quelle che non sono più.
Pagine di storia materiale, da cui emergono modi di vita  d’un tempo improntato a valori autentici: l’attenzione agli altri e la solidarietà, la vita guadagnata con il lavoro onesto, che Teresa ha voluto testimoniare anche simbolicamente scegliendo per titolo del libro il nome dello spazio dove “con rudimentali macchine, si producevano corde e funi, intrecciando e avvolgendo le forti fibre della canapa coltivata negli orti del viterbese e macerata nelle pozze del Bulicame.