LA CHIESA DI SAN BONAVENTURA A MONTERANO
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Insediamento etrusco, poi romano, sede vescovile nel medioevo, Monterano ha visto in seguito avvicendarsi sul suo territorio le più importanti famiglie nobiliari romane. Il suo declino, a cominciare dalla fine del Cinquecento, è legato soprattutto al costituirsi del limitrofo agglomerato di Canale, dipendente a sua volta dallo sfruttamento del legname e delle miniere di allume.
Eppure Monterano doveva ancora vivere la sua stagione architettonica più spettacolare, quella della committenza Altieri, tra Sei e Settecento.
Attraverso le vicende costruttive e poi dell'abbandono, della decadenza e infine del recupero del complesso di San Bonaventura questo libro dà conto in filigrana della storia di Monterano, presentando importanti testimonianze documentarie e iconografiche inedite.

Nel 1610 un documento della Diocesi di Sutri caldeggiava l'istituzione di una parrocchia a Canale per facilitare la partecipazione dei fedeli alle funzioni, senza costringerli a raggiungere Monterano: il castello di Monterano, e queste capanne di Monte Sassano, e Canal di Magliano vi è distanza di un miglio e mezzo in circa vi sono tra mezzo fossi, che in tempo di pioggia raccolgono molta acqua, che con pericolo in quel tempo d'inverno, essendo luoghi montuosi, et aspri, et molto difficoltose a particarsi in quelli tempi l'amministrazione de sacramenti all'infermi, anzi alcune volte non vi si può passare senza pericolo della vita l'acque impetuose che menano li detti fossi (p. 117 di questo volume).
Il piccolo borgo, epicentro di un ricco bacino minerario già nel secondo Quattrocento e nel Cinquecento, tendeva agli inizi del Seicento a spopolarsi, per la mancanza di matrimoni e di nascite, in corrispondenza con il declino degli Orsini e la disgregazione del loro ducato. Così che il tentativo di papa Clemente X Altieri, una volta acquisito il feudo nel 1671, di ristabilirne la capitale nel castrum exiguum et angustum doveva rivelarsi un'iniziativa dispendiosa e di lungo impegno, destinata poi a esaurirsi precocemente per il sopravvenire della malaria, e per la sgradevolezza dei miasmi delle pozze sulfuree di cui la zona è ricca.
I lavori di trasformazione del piccolo abitato, donato dal papa ai nipoti adottivi Gaspare e Angelo Paluzzi Albertoni, in un insediamento monumentale, e il suo collegamento con il feudo circostante, si snodano lungo venticinque anni, a partire dal 1672. Un'importante acquisizione di questo volume è stato il ritrovamento documentario relativo al ruolo avuto da Carlo Fontana nella direzione dei lavori. L'architetto era entrato a servizio della famiglia Altieri nel 1670, in concomitanza con l'ascesa al soglio papale del cardinale Emilio Bonaventura, e subito aveva dato avvio a un vasto programma di restauri delle propietà della famiglia e di alcuni luoghi di culto, a Roma e nel Lazio. A questi si aggiunge ora l'importante tassello documentario, datato 1672, relativo all'appalto da parte di Fontana a tre capimastri di tutti e singoli lavori che sono da farsi […] tanto della fabrica della rocca, del forno del ferraccio e di qualsivoglia altro edificio di qualsivoglia altro luogo della Terra di Monterano. Di fronte a queste premesse è forse possibile anche ipotizzare una partecipazione dell'architetto nella trasformazione della rocca medievale in palazzo gentilizio, con la declinazione in facciata di architettura e scultura, per l'aggiunta del loggiato e dello scoscendimento roccioso da cui zampilla l'acqua, sotto la zampa del leone araldico dei Paluzzi Albertoni. Soprattutto alla luce dei suoi studi di ingegneria idraulica. Mentre, per quanto riguarda l'influenza esercitata su di lui dalle invenzioni berniniane, basta ricordare che aveva lavorato alle dipendenze del maestro per la committenza dei Chigi durante un decennio, fra il 1660 e il '70, lasciando almeno un disegno per una fontana nel palazzo dei Santi Apostoli, concepita con un ampio fondale a scogliera concettualmente non dissimile da quello di Monterano.
Per l'altra grande impresa di committenza Altieri, il complesso conventuale di San Bonaventura, già Lione Pascoli (1730-1736) aveva evocato il nome del Bernini, ricordando che il nipote del papa ne ordinò il disegno al Bernini, che fatto da lui con tutto il resto del comodo per l'abitazione de' Padri, vi mandò Mattia ad assistervi, e si portò egregiamente. Soprattutto per la fabbrica di San Bonaventura, i numerosi documenti raccolti in questo volume offrono un nuovo contributo alla migliore conoscenza del cantiere, dove ricorre nuovamente il nome del capomastro Francesco Oberti, svizzaro, già menzionato qualche anno prima nel contratto con Carlo Fontana.
Alcuni decenni dopo, alla metà del Settecento, Monterano era avviata verso il definitivo declino, essendosi aggiunta alla disaffezione degli abitanti quella del governatore e dei funzionari comunali, e infine quella degli stessi Altieri, che avevano preferito spostarsi nelle dimore di Oriolo e Veiano.

Daniela Gallavotti Cavallero