TE LE DO IO UN FISICO NUOVO
Vademecum sincero e irriverente della chirurgia estetica
Intervista al dott. ALberto Orlandi
FRANCESCA ROMANA DI BIAGIO

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Prefazione

QUESTIONE DI NASO E
ALTRI PENSIERI A RUOTA LIBERA

«Questione di naso. Cosa significa? È un’espressione per sottolineare il tipo di intervento che considero il più appassionante e creativo di tutta la chirurgia estetica. “Questione di naso”, però, vuol dire anche, da parte del chirurgo, avere fiuto, capire il paziente, sia da un punto di vista psicologico che tecnico e, da parte del paziente, saper scegliere il professionista più adatto per risolvere il suo problema, seguendo, sì, il suo istinto, ma anche i canoni di buon senso della chirurgia plastica. Mai farsi ingannare da prospettive più o meno eclatanti e spesso ingannevoli».
Dott. Alberto Orlandi

Questione di naso
“Questione di naso”. È così che il Dott. Alberto Orlandi voleva intitolare questo libro. Ho provato in tutti i modi a convincerlo che si trattava di un titolo riduttivo, mica si può riassumere nella rinoplastica l’intero universo della chirurgia estetica? Vi dirò di più: se ci fate caso, oggi, ci sono molti più nasi brutti in giro di quanti se ne vedessero un tempo, anche tra attori, attrici, modelli e modelle. Segno che il profilo da star ha perso un po’ del suo appeal e l’autenticità –una volta tanto!– ha prevalso su perfezione e finzione. Vallo a dire a Orlandi però che di nasi ne fa e rifa in continuazione, pare anche molto bene, a giudicare dal grado di soddisfazione dei suoi pazienti. Insomma, lui si era impuntato su questo titolo e ancora oggi che siamo andati in stampa continua a rimproverarmi della mia scelta… a suo dire, prepotente. E io spesso me lo sogno la notte che grida: “vedi, se mi avessi dato retta, avremmo ottenuto maggiore successo”.
“Questione di naso” per un professionista –aggiungo tignoso– come Alberto Orlandi è un’espressione che non allude semplicemente all’armonia del naso di un individuo, ma alla lucidità di compiere la scelta giusta quando si decide di ricorrere alla chirurgia estetica, senza farsi abbindolare da false promesse e dal sogno di ottenere un corpo nuovo, attraverso interventi che oltre che impossibili sono anche sconsigliabili e pericolosi. Il “naso giusto”, cui alludeva –con tanta insistenza– il nostro chirurgo, non è il contrario del così detto aquilino, a gobba di cammello o “dantesco”, ma è quello di chi sa affidarsi al medico competente, in grado di migliorare l’aspetto fisico di una persona, senza rovinarne la salute e “pelargli” –per dirlo alla romana– il portafoglio.
Il variegato mondo della chirurgia estetica, così come della medicina, si popola, di giorno in giorno, di nuovi santoni, molti stranieri, qualcuno italiano. Nascono studi clinici come funghi, date un’occhiata nelle grandi città, ma anche nelle piccole e medie, se non ci avete mai fatto caso. Viva la concorrenza, direte giustamente, ma io sarò una tradizionalista e sostengo che “a ciascuno il suo mestiere” sia un motto imbattibile. Discorso che vale anche per il giornalismo, ma qui dovrei aprire un capitolo a parte, anzi scrivere un nuovo libro. Alla prossima magari, adesso torniamo ai nasi.
Come sono quelli che fa Orlandi? “Privi dei segni visibili dello scalpello, non eccessivamente scheletrici o finti, niente affatto impoveriti di alcune strutture essenziali, come la cartilagine –risponde lui– impossibili da distinguere rispetto a un naso che non ha mai subito operazioni”. Naturali. Perché per Alberto Orlandi il concetto di naturalezza fa rima con giovinezza (anche oltre i cinquanta anni d’età) e bellezza. Pretendere la naturalezza –e la salute– è un diritto di ogni paziente, anche se in molti non ne sono consapevoli e un dovere inderogabile di ogni operatore sanitario. Chirurgo plastico in primis. Questione di naso nel capire, quindi, da parte del curante, quale metodo seguire nel caso specifico, cioè la famosa indicazione all’intervento che spesso viene ignorata. Da parte del paziente, questione di naso sta, invece, per fiuto nel rivolgersi al chirurgo più idoneo in possesso dei requisiti giusti, esperienza e specializzazione in chirurgia plastica estetica e ricostruttiva.

Quelle/quelli che “io mai e poi mai”
“Mamma mia, guarda che labbra siliconate”… “e che poppe a pera”, “quella ha gli zigomi talmente alti che tra un po’ le arriveranno all’attaccatura dei capelli”. “Che orrore! Io non mi ridurrei mai così. Mai e poi mai mi farò un ritocchino”.
Non siamo ipocriti: quante volte abbiamo pronunciato queste frasi? E se anche non fossero mai uscite dalla nostra bocca, quante volte le abbiamo condivise?
L’Italia è il Paese dove nessuno ammette di rifarsi, ma tutti di nascosto vanno dal chirurgo plastico e i risultati si vedono, osservando la gente che cammina per strada. Chissà perché poi le riviste femminili, piene zeppe di consigli estetici e di indirizzi cui rivolgersi (che fanno capo, naturalmente, a chi ha pagato le pagine pubblicitarie) sono più vendute dei quotidiani.
Bando ai convenzionalismi: desiderare di essere più belli non è un reato. E se la scienza oggi ce lo consente perché non approfittarne? Basta farlo in modo serio e opportuno, disponendo di congrue informazioni e garanzie. E soprattutto a cuor leggero, senza sentirsi in colpa o giudicati.
Attenzione poi alle dichiarazioni avventate, ma perentorie: il “mai a un ritocco”, a venti, trenta e anche quaranta anni, potrebbe trasformarsi in un “quasi, quasi”… a sessanta, settanta e pure cinquanta. Rimangiarsi la parola non è bello, anche se viviamo in una società dove tutti lo fanno.
Ps: il quelli iniziale è d’obbligo, perché pare che gli uomini siano dei fan della chirurgia estetica più accaniti delle donne.

Quelle/quelli che “io sempre e me ne vanto”
C’è poi chi fa a gara per andare dal chirurgo estetico. Dal più costoso sulla piazza, perché in certi ambienti spendere è uno status symbol e un alibi per giustificare la scelta migliore. Ci sono donne e uomini che non si rassegnano a invecchiare e che, raggiunta la soglia degli anta, si sentono fisicamente e moralmente obbligati al ritocco. Non voglio esagerare ma questi personaggi –catafalchi, come li chiama Alberto Orlandi– sono dei veri e propri talebani della chirurgia estetica: sono intolleranti nei confronti di chi non la pratica, di chi decide di tenersi le proprie rughe e il seno cadente. Sempre pronti a sentenziare: “chi non si rifa è un pezzente, uno sciatto, qualcuno che ha poca cura di sé, perché la loro percezione intellettiva è talmente ristretta che non riescono a comprendere che nel mondo –per fortuna– ci sono persone che danno importanza a valori differenti dall’aspetto fisico e preferiscono risparmiare dei soldi per far studiare i figli, piuttosto che per rifarsi le tette.
Ho il vantaggio-svantaggio di vivere a Milano e di gente così ne vedo a bizzeffe, ne parlo anche nelle pagine successive. Con la dovuta ironia il chirurgo-dipendente può risultare anche divertente. Per lui soltanto due cose sono fondamentali:
1) esagerare nei ritocchi, con il rischio di non riuscire più a parlare (tanto è forte il lifting), di non poter infilare una camicetta o entrare in una quinta di reggiseno, di utilizzare un intero tubetto di rossetto in una volta per dipingere le labbra (tanto sono gonfie per il silicone). Per poi ritrovarsi a piangere, pentito/a, sulle spalle di professionisti che non hanno eseguito i suoi interventi, che l’avrebbero sconsigliato/a dal compierli e che sicuramente l’ avrebbero reso/a più bello/a e meno ridicolo/a, alla metà del prezzo;
2) rivolgersi al chirurgo più alla moda, quello che compare nei salotti televisivi per intenderci, “perché se non vai da lui sei uno sfigato”. Quello che ti chiede mille euro appena ti siedi e ti presenta un conto che è già un salasso alla prima punturina.
Contenti loro…
Dimenticavo: gran parte di questi personaggi che hanno molto tempo libero, perché non lavorano, o fanno finta di farlo, passano le giornate a sfogliare le riviste, per scegliere la modella o il modello cui assomigliare, staccare la foto e portarla dal medico di fiducia per la riproduzione corporea.

Quelle Che “non Ho Il Vizio, Ma Ogni Tanto”
“Amore, per i nostri venti anni di matrimonio, vorrei… un bel culetto all’insù, come le brasiliane”. “Papà, per i miei 18 anni non regalarmi una macchina, ma due taglie in più di seno”.
Che male c’è ad avere un sogno, anche se si tratta di un nuovo sedere e se a pagare deve essere il tuo sposo o il tuo papà che ha risparmiato una vita proprio per non farti mancare l’essenziale e un po’ di superfluo? Sognare non è mai un reato, ma spesso chi fa questi sogni –da sveglio intendo– è una perfetta moglie e madre, una studentessa complessata e secchiona, una tutta casa e chiesa. Una gatta morta o “monachella infilzata”… insomma appartiene a quella categoria per cui valgono i detti “l’apparenza inganna” e “mai fidarsi delle acque chete”.
Da chi non ha mai avuto pretese e ha sempre indossato i panni della persona dimessa, integerrima, rigorosa e diciamolo pure, bacchettona e pallosa, non ti aspetteresti mai certi aneliti. Eppure donne del genere –qui il discorso è più al femminile perché il perbenismo sociale spesso porta la gonna, anche perché gli uomini non hanno bisogno di simulare, in quanto da sempre tutto gli è permesso– vanno spesso dal chirurgo plastico. E affamate di novità come sono… non soltanto di novità… magari gli zompano anche addosso o, perlomeno, ci provano spudoratamente.

Quelle/quelli che hanno scelto di fare il chirurgo estetico
Se vi dico subito come sono non leggete il restante libro… e che l’ho scritto a fare?