DAI LAVATOI ALLA LAVTRICE - VETRALLA
 
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Immagini effettuate durante la passeggiata/racconto tenutasi a Vetralla (VT) il 3 agosto 2013. (foto di D.Ghaleb)

Ci fu un tempo di sasso e acqua gelida. Un tempo di sapone povero, fatto a mano. Un tempo di geloni, dolori reumatici, artriti deformanti.
Ma esso fu anche tempo di ciarle allegre, focolare di racconti, agorà di condivisione e scambio per cose e gossip: tanto che ancora oggi qualcuno sentenzia lavare i panni, ma veramente intende spettegolare.
L'acqua corrente arrivava in casa soltanto ai Soliti Pochi. Le popolane invece dovevano uscire e andarsela ad attingere alle pubbliche fonti. Andavano, col loro passo inconfondibile e la coroja in testa. Acqua per tutti gli usi. Allora lavare i panni significava darsi appuntamento al lavatoio. Incontrarsi. Raccontare.
A un certo punto però, era il secondo dopoguerra, i lavatoi spiccarono il volo: in un primo momento si limitarono a traslocare dai bassi comunitari, fin sopra le soffitte, sui tetti dei nuovi condomini.
Ma venne poi l'inesorabile Dio Progresso a sradicare per sempre, con l'usanza antichissima di battere lavare strizzare insieme i panni, quella di raccontarsi pettegolezzi e storie: la lavatrice esiliò definitivamente il tempio dell'igiene, consacrandolo alla solitudine nel privato appartamento della famiglia nucleare. Come la scatola per fare il freddo e quella parlante, il lancio sul mercato di questo elettrodomestico inusitato marcò il principio della fine di un ordine millenario. Pilotando e simboleggiando l'espandersi dei consumi e l'avanzata del benessere, è vero. Ma anche spegnendo, una volta per tutte, piazze di racconti e di baratti, di consigli reciproci e di reciproci conforti.
Da quegli imbarazzanti ruderi del nostro appena-trapassato prossimo, cadenti a pezzi nell'incuria e nella smemoratezza delle nuove generazioni, riaffiora comunque, a tratti, il melanconico epicedio a una diversa pedagogia di cose, che molto avrebbe ancora da insegnarci: se non nella direzione di un perbenismo consumista politically correct, almeno in quella di una virtuosa condivisione dei racconti come moneta di buon conio per una miglior felicità sociale. Che cosa abbiamo guadagnato in quel passaggio epocale che abbrutì in un attimo al rango di inutili macerie, di fossili anacronistici, i mille lavatoi puntualmente confitti nel cuore e tutt'intorno ai nostri centri storici? Che cosa abbiamo perso?
Cercheremo di scoprirlo insieme, sulla scorta di alcuni scrittori dialettali e di letterati di vaglia di Tuscia e di Maremma (Luciana Bellini, Angela Giannitrapani, Vincenzo Marro, Elio Tonnicchi) ma anche delle pagine di alcune fra le maggiori voci del nostro Novecento (Vincenzo Cardarelli e Andrea Zanzotto). Si tratta di pagine consacrate al cicaleccio tipico di un antico e povero mestiere, che al poeta dové sembrare spesso, più che mestiere fra gli altri, destino vero e proprio: quello della lavandaia.