Davide Ghaleb Editore

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In terre di Tuscia
collana ideata da Daniela Proietti


Lago di Bolsena

Viterbo

Valle del Tevere
       

Questi libri nascono per caso, sempre che un sogno possa essere definito un caso. 
Partiamo dall’inizio, però.
Una bella mattinata di maggio dell’anno 2019, quando il mondo era diverso, ho accompagnato i miei alunni in gita.
A bordo dello scuolabus, abbiamo raggiunto prima Sant’Angelo, poi Roccalvecce.
L’entusiasmo dei bambini ha accompagnato quelle poche ore e ha fatto in modo che io apprezzassi in maniera molto più intensa le bellezze della mia terra.
Mentre eravamo sulla strada del ritorno, e osservavo i verdi campi che attorniano le strade strette e sinuose che si snodano in quella zona, ho pensato che avrei potuto scrivere un breve articolo sui colorati, e oramai noti murales che vivacizzano e rallegrano il primo paesino da noi visitato.
Ho scritto un breve pezzo, e l’ho pubblicato su Viterbox.it, che nel tempo è diventato il testimone virtuale dei miei giri.
Poi, la narrazione di Roccalvecce e del suo bellissimo castello hanno intensificato il desiderio primordiale di far conoscere il Viterbese.
Così, un piovoso sabato pomeriggio di maggio, ha segnato il vero e proprio punto di partenza di questo lungo scritto. La mia idea è nata una seconda volta. Mi sono allontanata dallo spirito del cronista, e la mia attenzione si è spostata sulle sensazioni che i luoghi che andavamo visitando ci regalavano.
Nel mio viaggio ho fatto uso di tutti i sensi, e spesso anche di quel fantomatico sesto senso che spinge forte per uscire.
Il mio peregrinare si è successivamente snodato lungo i comuni della Valle del Tevere, non lontani dal luogo in cui vivo, eppure per me poco noti. Ho scoperto paesaggi boscosi, borghi in pietra isolati su dolci colline, con distese di vegetazione a ricoprirne i versanti.
Una volta terminata la zona, pensavo di aver dato anche termine al mio scrivere. Era arrivato l’autunno, e con esso l’inizio delle lezioni, ossia l’inizio del mio primo lavoro.
Una sera, mentre stavo scrivendo, probabilmente qualcosa di poco memorabile, tanto che non ne ricordo affatto i contenuti, la mia mente ha fatto un balzo nel passato, fino ai racconti di gioventù dei miei genitori. Davanti ai miei occhi, è comparsa una Viterbo in bianco e nero, come fosse una vecchia cartolina, fatta di botteghe e vie animate. Piena di ragazzi ben vestiti, che passeggiavano per le vie del centro, sorridenti e spensierati, come ci piace credere che siano stati i giovani degli anni ’60.
Se nel primo libro della mia avventura, mi sono fatta trasportare sempre in automobile, la mia città me la sono girata naturalmente a piedi. L’ho «mappata», come amo riferire.
Il «periodo viterbese» è stato segnato dalla malinconia del lockdown e, per ovvi motivi, sono stata costretta a interrompere il giro e le pubblicazioni. 
Una volta concluso, mi sono poi spostata sul Lago di Bolsena, che è stato il complice di una delle estati più coinvolgenti della mia maturità. L’ho attraversato più volte, anticipando di un po’ quella meravigliosa immersione nel suo ventre che avrei fatto soltanto l’anno successivo.
E in quel giro ho iniziato ad avvicinarmi a una delle famiglie che hanno arricchito il nostro territorio: i Farnese.
Ho visitato ogni palazzo nato, o rinato, per loro volere, e ne ho immaginato la vita all’interno, riuscendo a percepirne i colori, gli odori e i suoni.
Settembre è iniziato alle pendici dei Monti Cimini, a me più familiari dei luoghi sino ad allora descritti. La vetusta faggeta e quella selva che tanto spaventava coloro che erano costretti ad attraversarla, e che si è aperta naturalmente sul suggestivo specchio del Lago di Vico, sono stati gli scenari che mi hanno accompagnata fino alle più sconosciute terre del sud.
Lì il paesaggio mi ha avvolta con ancor più impeto. Ho immaginato di percorrerne alcuni tratti a bordo del treno che non c’è più, sulla linea Civitavecchia-Orte. Ci siamo fermati in ogni sua stazione, ricca di fascino, forse proprio perché dismessa. Ci siamo spinti fin quasi al mare, anche se abbiamo deciso di lasciarlo per ultimo, a quando avremmo avuto voglia di sole e di aria salmastra. La primavera, difatti, era già quasi a metà del suo cammino. 
Le terre del sud est ci stavano aspettando, e con esse il loro senso mistico. Infine, la costa e le meraviglie della Maremma.
E in ogni luogo in cui mi sono recata, ho cercato non soltanto di raccontare ciò che dettava il mio cuore ma, e soprattutto, ho tessuto una tela con i fili delle parole di coloro che abbiamo incontrato e che non hanno lesinato il loro tempo. Sindaci, parroci, gente di passaggio, conoscitori della storia e delle tradizioni, commercianti, ristoratori, baristi ed esperti.
Questo, in breve, quello che avrete la bontà di leggere nelle pagine che seguono.
È mia volontà precisare che la narrazione si è affiancata per oltre due anni e mezzo alla mia vita e l’ha vista mutare in modo significativo. E con essa è mutato anche il registro linguistico.
Il merito, qualora questi racconti venissero ben accolti dai lettori, è anche di chi mi ha accompagnata in queste gite di poche ore.
Tra tutti, il capitolo che non sono riuscita a rileggere, e a correggere, riguarda il borgo di Monterosi, che ho visitato di ritorno da Roma, il giorno in cui mia figlia maggiore ha riconsegnato la sua bella divisa da assistente di volo per inseguire un sogno al di là dell’oceano.
Da quando è partita, nel marzo del 2021, lei è sempre stata la prima a ricevere, via whatsapp, i miei testi. Non sono sicura che li abbia letti, ma a me, ogni volta, è sembrato di inviarle un po’ della sua terra e tutto il mio cuore.
A lei, e agli altri miei due figli, dedico questo libro, ringraziandoli per la pazienza dimostrata nel sopportare una mamma come me.