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VITERBO
Daniela Proietti


Prefazione

Talvolta non la riconosco: la adoro quando è agghindata a festa, mi intristisce un po’ nei periodi morti. Mi piace allontanarmi da essa per spazi di tempo più o meno lunghi, negarla a me stessa e tradirla. Ma rimane sempre quel luogo in cui riuscirei a camminare a occhi chiusi, evitando ogni ostacolo.
La mia Viterbo.
Il secondo volume della collana «In terre di Tuscia» racconta la mia città, quella in cui sono nata e nella quale ho trascorso tutta la mia vita. I vari capitoli sono stati scritti in un arco temporale piuttosto ampio, che comprende il periodo pandemico e che ha resettato le nostre vite. Le mie passeggiate, da un giorno all’altro, si sono interrotte per poi essere riprese con intensità e desiderio.
Ho camminato per chilometri, e senza mai stancarmi, lungo le sue belle ed eleganti vie, abituate a non vestire il loro abito migliore.
L’ho apprezzata forse troppo tardi e troppo poco, ho dovuto attendere di studiare le migliaia di pagine che sono state scritte su di essa prima di innamorarmene come è giusto che sia.
Chi avrà la volontà e la gentilezza di leggere i miei racconti, si renderà conto che la narrazione avviene talora al singolare, talora al plurale. Non è una svista, tantomeno un’inesattezza. Spesso ho condiviso queste mie brevi fughe con altre persone, appassionate come me.
Anche quando giravo da sola, ero comunque in compagnia dei miei ricordi, e i momenti vissuti, sebbene lontani nel tempo, non smettevano di scorrere dinanzi agli occhi come una pellicola fatta andare troppo velocemente.
Ho fissato tante immagini: le luci e le ombre prodotte dal sole nei diversi momenti della giornata e dell’anno le hanno rese uniche, come unica è la storia della nostra Vetus Urbs.