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ORIOLO ROMANO
UN BORGO DA RACCONTARE
di Francesco Mancuso

Presentazione di
Emanuele Rallo
(Sindaco di Oriolo Romano)

Quando una persona con passione e capace davvero di ascoltare si avventura nella realizzazione del lavoro che state tenendo in mano, si mette in moto un meccanismo il cui esito è tutto tranne che scontato. Il percorso di Francesco, seppur casuale, ha rappresentato una fortunata combinazione di eventi che ha permesso alle tante storie contenute come tesori nascosti in alcune abitazioni del nostro borgo di trasformarsi da racconto familiare o comunque privato a testimonianza concreta e potente di tanti anni e tanti avvenimenti che hanno attraversato Oriolo nel corso dei decenni.
Chi si aspetta una storia organica e ben scandita, una storia con la S maiuscola insomma, si stupirà nel confrontarsi con il ritratto plurale e irriducibile che l’autore, con il suo sguardo fiducioso e aperto, ha saputo mettere insieme giorno dopo giorno con pazienza e determinazione, andando a stimolare e a far emergere ricordi che altrimenti forse avremmo perduti.
Non c’è nulla di più potente delle storie delle persone. E queste storie diventano ancora più stimolanti quando sono ricostruite da un aedo instancabile e curioso. Una comunità, per essere tale, deve anche sapersi raccontare. Oggi ne abbiamo la possibilità.
Questo lavoro è un dono vero e proprio. Un dono che raccorda il passato e lo regala al futuro. Francesco ci regala un metodo di indagine e di testimonianza, un metodo estremamente personale, che non può essere replicato, perché intimamente connesso a colui che guida l’indagine, ma che ci stimola a continuare a scoprire storie. A noi il compito di esserne capaci.

 

 

Presentazione di
Stefanie Risse*

Oriolo si racconta

Sono le persone che fanno un luogo e sono i ricordi che fanno le persone.
Queste semplici verità emergono nettamente dalla lettura dei vari ritratti che, nell’insieme, creano un’immagine di Oriolo che nessun’altro, se non Francesco Mancuso, avrebbe potuto comporre in questa sua unica maniera.
Già durante un suo primo percorso autobiografico alla Libera Università dell’Autobiografia di Anghiari (AR), affrontato attraverso la scrittura autobiografica a distanza nei primi anni del 2000, l’autore ci ha colpito per la sua particolare capacità di osservazione e di ricordare anche piccoli dettagli che rendevano le sue descrizioni acute e reali; quasi sempre i suoi ricordi sfociavano in piccole o grandi storie che per noi destinatari rendevano la lettura gradevole e spesso allegra: oltre tutto lo sguardo, talvolta ironico, era sempre benevolo e non gli mancava mai il senso della comicità per alcune situazioni che la vita gli aveva riservato.
Dopo che la sua propria, ricca autobiografia era diventata libro, Francesco è passato dalla scrittura di sé a quella dell’altro. Ed eccolo qui che presenta – per la terza volta, dopo le storie raccolte di Bracciano e Canale Monterano – la cittadina di Oriolo, attraverso i suoi incontri con alcuni abitanti e la raccolta dei loro racconti.
La tecnica che usa è particolare, per non dire unica. Anche se qui scrive di altri, ci ho potuto ritrovare tante delle sue caratteristiche sopra menzionate.
Avendo compreso che l’oggettività nei racconti di vita non può esistere, e che nemmeno la figura dell’intervistatore può agire nella veste dello specialista tecnico – cose che alcuni sociologi ci hanno voluto far credere – lui offre la sua soggettività come veicolo di trasporto per avvicinarsi alle persone e per farle parlare. Talvolta anche con l’aiuto della sua compagna Vittoria, gli si aprono le porte delle case. Passeggiando per le strade, guidato da Bernardino Altigieri che racconta il paese – il Palazzo Altieri, i portali, le stallacce, fontana vecchia e la tomba del soldato tedesco sul cimitero, riprendono vita.
Dopo i primi scambi di parole il flusso dei racconti, regolarmente, non si ferma più. Eventi delle due Guerre Mondiali si rispecchiano nei ricordi dei padri e delle madri di tutti; nel dopoguerra “…c’era una miseria nera, ma eravamo tutti lì, al pezzo, a portare il nostro granello di sabbia al bilancio che occorreva metter su per vivere, ma la sera, attorno alla tavola, tutti insieme a ridere, scherzare, raccontarci le peripezie della giornata”, ricorda Marisa Zamparini. Il lavoro nella Fonderia Giampieri e nel sindacato racconta Silvano Barberini; l’infanzia da ragazza alla Gian Burrasca e l’impegno per i malati, in età matura, di Francesca Bassetti; la passione e la vita dedicata alla scrittura e alla musica classica di Giorgio Tagnani, l’artigiano orafo Virgilio Mortet racconta la storia della sua bottega, ormai famosa nel mondo; e per l’Archivio Flamigni parla Emilia Lotti: “Il valore dell’Archivio sta nel non permettere che il silenzio, il disinteresse scenda su tanta storia del nostro paese, storia coraggiosa che ha consentito conquiste sociali e civili.” Dice Angelo Piccioni: “Sai, bisogna sempre ascoltare gli altri, solo così s’impara ”.
Ugo Conti racconta del suo stare al mondo attraverso i libri: “ Leggo di tutto, dalla storia, alla filosofia, alla letteratura, amo tutto ciò che si può leggere”. E infine Elisa che racconta la prigionia di suo nonno in un campo di concentramento in Germania.
In questo flusso di ricordi Francesco si limita a osservare, commentare, domandare, aggiungere idee spontanee, senza incanalare mai il flusso dei racconti. Chi di sé racconta, rimane padrone o padrona delle scelte che la vastità infinita della propria memoria gli offre.
Raccontandosi, apparentemente senza filo conduttore, ogni, persona mentre parla, costruisce la sua identità. Infatti durante ogni racconto emerge chiaramente il filo rosso attraverso il quale il personaggio si definisce e vuol farsi riconoscere agli altri.
In mano rimane una bella treccia di fili rossi, di vite vissute con dedizione e passione, coraggio e tanta umanità. Vite di Oriolo.

* Stefanie Risse è coordinatrice del gruppo di scrittura autobiografica a distanza Libera Università dell’Autobiografia di Anghiari.