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MI RICONOSCERÀ PEPPINO?
di Candido Proietti

Prefazione

Ho letto, o per dire meglio mi sono gustato, il testo originario di “Mi riconoscerà Peppino? Eravamo ragazzi a Civita di Bagnoregio”, scritto da Candido Proietti per rievocare i ricordi della sua fanciullezza. Lo considero uno spedito compendio di episodi, di scenette paesane ancorate alla concretezza del mondo contadino nel corso degli anni Trenta ed in perfetta sintonia con gli usi, le abitudini, le divagazioni, gli arguti caratteri degli stravaganti borghigiani. Un calibrato insieme di preziose memorie narrate in forma snella, priva di esaltazioni retoriche o di astruse congetture descrittive, che riescono a stimolare il conseguente raffronto fra le briose vicende del passato e la deprimente monotonia dei giorni nostri.
Redigere la prefazione a questi originali racconti, dedicati dall’Autore al suo «borgo natìo», peraltro corredati da una singolarissima serie di foto d’epoca, è per me motivo di intima soddisfazione soprattutto perché sono nato ed ho vissuto la prima giovinezza a Sermugnano, ad un tiro di schioppo da Civita di Bagnoregio. Ed aggiungo che, anch’io, mi sono giovato delle antiche rimembranze paesane per trarne spunti e argomenti a sostegno dei miei lavori di narrativa. In un mirato articolo di Terza Pagina, pubblicato di recente da un quotidiano a tiratura nazionale, si è potuto apprendere che il diretto riferimento al passato ed alle trascorse vicende sta divenendo motivo di crescente interesse, per gli autori e per i lettori, sia in Italia che all’estero. Questo sta a dimostrare che la riscoperta dei valori, delle antiche tradizioni, dei modelli di vita d’un tempo, non è soltanto una nostra esigenza, ma è movente di ben più ampie riflessioni.
Accettare con italica rassegnazione quel che ci viene quotidianamente propinato dai ciarlatani di turno, intenzionati a cambiare le cose ad ogni costo, ad evitare confronti, a sopprimere le passate esperienze in omaggio al futile modernismo consumistico, non trova tutti d’accordo. Sono infatti in crescita le schiere dei tanti che, in modo equilibrato e saggio, seguitano a guardare indietro per meglio procedere avanti. Candido Proietti, rispolverando le sue memorie, ha dimostrato di essere uno di questi. Nel dargliene atto, occorre valutare serenamente gli stimoli che lo hanno indotto a rievocare i nostalgici giorni della sua infanzia. Un’infanzia vissuta a Civita, nel borgo arroccato sugli impietosi calanchi della Valle, in quell’incomparabile microcosmo a tu per tu con i capricci della natura ed in diretto rapporto con modi di vita, regole quotidiane, usanze, espressioni, motti dialettali, alterchi e ripicche fatti propri e calibrati da ataviche costumanze. Un mondo da riscoprire e da rivalutare, senza cedere ad ingannevoli confronti che potrebbero travisarne gli spontanei significati. Questi agili, stringati racconti di Proietti, meritano quindi di esser letti, meditati e considerati.
Troveranno magari a che ridirci i denigratori delle trascorse abitudini e gli amanti delle novità in assoluto, sempre pronti a... parlarsi addosso... pur di osannare le auspicate moderne conquiste. Gli riserveranno invece una meritata accoglienza i tanti lettori lusingati dal suggestivo ambiente descritto, dai caparbi comportamenti di quella gente d’antico stampo, dalle marachelle studiate e messe in atto da una frotta di monelli che una ne fanno e l’altra la inventano pur di alleggerire alberi da frutta, scovar castagne, noci e fichi per poi assecondare le altre smanie di giornata. In calzoncini corti che d’inverno, con le gambe arrossate dalla tramontana, eran soliti riunirsi in piazza, «lì ma la fontana», laddove, giorno dopo giorno, ce la mettevano tutta per concordare i loro svaghi: scivolarelle sui pendii gelati; la stagionale gara consistente nello sgranocchiare cannoli di ghiaccio; il gioco del battimuro; le spedite nascondarelle nei vicoli, negli orti o sugli arditi crinali, ed anche, di tanto in tanto, lo sbarazzino raduno sulla loggia dell’Armeria per dar sfogo, a mo’ di sfida, alle loro impellenti necessità. Il più bravo a spedir lontano la propria pipì era Sgrullino. Vinceva sempre.
E, pagina dopo pagina, tante altre scenette di sicura presa che l’Autore ha correlato ai molteplici aspetti della Civita degli anni Trenta e che i lettori potranno gustarsi per penetrare a fondo ogni particolare di quel modello di vita. I più anziani ci si riconosceranno, aprendo i varchi a qualche recondita nostalgia; i più giovani potranno ricavarci vantaggiosi paragoni, confrontando le loro «moderne» esperienze con quelle vissute dai ragazzi d’allora. Considerazioni, queste, che non intralciano il comune interesse di interpretare e far propria l’intera serie degli argomenti posti a fondamento di ogni infantile bricconata, della scalpitante ingenuità delle bimbette, dei lungimiranti propositi covati da giovanottelli e signorinette, dall’acquiescenza d’obbligo fatta propria da tutte le massaie contadine, dei gravosi giornalieri impegni portati a termine da caparbi borghigiani mascherati di strafottenza. Il tutto confortato dalle parsimoniose benedizioni di don Pompeo e dagli armoniosi rintocchi delle loro campane.
Questo, in conclusione, il vecchio borgo ripropostoci da Proietti. A suo parere “neanche i morti potranno adattarsi alle gioie del Paradiso, dopo le pene dell’inferno di Civita, che poi tanto inferno non era”. Quindi, per meglio assecondare l’idea, un inferno a trasferire a pieno titolo in qualche ridente angolo del celeste empireo. E sia così!

Luigi Catteruccia

 

 

Indice

Prefazione, Luigi Catteruccia

Se sali lassù

Paolo
Nonno «Da» quand’era piccolo
La casa di Peppino
Nell’orto di Peppino
Ai Cii
Ancora ai Cii
A caccia di serpenti
I chirichetti
Il curato e Don Pompeo «Dio ci guardi»
La scuola elementare
La bottega di mio padre e il pallone di carta e stracci
Alla Puzzacchia
I nostri giochi
I mortaretti
Nel pozzo per un pulcino
Le campane di Civita
Nazareno e Mario
Candido bischero
Candido ancora più bischero
I gatti e le paure
La cresima
Giugno 1935, domenica
Le feste
La casa
Mi sono sentito importante
Quell’altro orto
A Civitella D’Agliano per una raccomandazione
La prima volta a Roma
I vecchietti
I fratelli
A Paolo e Luca

Sono salito lassù

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