| Introduzione Quando,  nella prima metà del XVI secolo, Cosimo I de’ Medici scoprì l’interesse  potenziale, in termini politici, di un revival degli Etruschi, elevati al rango di autentici e prestigiosi antenati dei  Toscani, si aprì per i dotti un universo nuovo. Un mondo da esplorare  faticosamente e svelare sia tramite lo studio dei testi antichi e degli arcani  della lingua etrusca che con la ricerca dei monumenti lasciati in eredità da  una civiltà fino ad allora pressoché ignorata, schiacciata come era dal peso di  Roma e della Grecia. Nella  realtà, ovviamente, i luoghi etruschi non avevano mai smesso di esistere e di  trasformarsi, talvolta fondendosi nel paesaggio urbano, mutando  progressivamente natura, come il tempio di Giove Capitolino a Roma; più spesso,  prestandosi a nuove funzioni, spesso molto lontane dalla loro originaria  destinazione. Lo dimostrano forse meglio di ogni altro le spettacolari  necropoli rupestri della Tuscia Viterbese, che furono sfruttate dall’Antichità  ai nostri giorni ai fini più disparati, dai più pratici – abitazioni, fienili,  porcili – ai più sacri ed esoterici.
 Che  siano naturali o artificiali, infatti, le grotte, le case, i ripari, le  cisterne o le cantine aperti nella roccia presentano una perennità invidiabile  in confronto alle costruzioni degli uomini. In molti casi, addirittura etiam periere ruinae, come nel caso della Pergamo compianta nella Farsale di Lucano (19.41), mentre queste strutture si  conservano e vengono costantemente riadattate, nel corso dei secoli, a nuove  funzioni. Il fenomeno del loro riuso è dunque universale: si potrebbe dire che  da quando gli uomini hanno contestato le caverne per la prima volta alle belve,  non ha mai smesso di prendere nuove forme fino ai nostri giorni! Insomma, anche  abbandonati, o colmi di terra e sassi, questi luoghi particolari che conservano  spesso intatta la loro struttura, sembrano aspettare solo che venga un momento  favorevole alla loro scoperta, al loro riuso e alla loro rinascita.
 Si  apre dunque anche un immenso campo di ricerca, rispetto al quale il nostro  incontro del 15 dicembre 2016 si prefiggeva naturalmente una meta circoscritta  a un luogo particolare: l’antica Etruria e, più specialmente, la Tuscia  Viterbese, pur allargando lo sguardo ad un periodo di tempo assai lungo in  termini storici, e di vite umane, che  va  dall’età arcaica al periodo moderno. L’intento era quello di raccogliere nuovi  dati, ispirati a diversi orizzonti di ricerca, suscettibili di aiutarci a  capire meglio il contesto di uso e di riuso di quel monumento abbastanza  singolare che è oggetto di uno scavo sistematico dal 2010: la tomba rupestre  etrusca monumentale di Grotte Scalina, presso Viterbo. Riscoperta quasi per  caso alla fine del secolo scorso, questa tomba è un imponente edificio  concepito su tre piani collegati da scale, dotata di una sala di banchetto del  tutto eccezionale, che testimonia dell’opulenza e della raffinatezza  dell’aristocrazia tarquiniese della fine del IV sec. a.C. Si tratta oggi di un  luogo affascinante, che ci invita ad intraprendere un lungo viaggio nei secoli,  sui passi di coloro che l’hanno realizzato, utilizzato, riscoperto,  trasformato.
 La  prima parte di questo volume è consacrata più particolarmente a questo  imponente monumento, sul quale viene presentata una prima sintesi relativa alle  sue sei “vite”- arcaica, ellenistica, romana, medievale, moderna e  contemporanea (Jolivet-Lovergne). È stato infatti possibile stabilire che,  durante tale ampio lasso di tempo,  il  sito è stato adibito a una funzione funeraria almeno nel corso di tre  principali periodi – arcaico, ellenistico ed alto-medievale  (Amicucci-Catalano-Jolivet). Il confronto con l’architettura di età ellenistica  (Ambrosini) consente di percepire meglio la grande originalità del monumento  etrusco - e un’ipotesi relativa ai canti tramite i quali le nobili famiglie  etrusche celebravano i loro antenati (Briquel) ci permette di immaginare i  rituali ai quali il monumento offriva la sua splendida cornice. L’evocazione  del quadro storico della Tuscia viterbese medievale e moderna fornisce una  chiave di lettura delle trasformazioni del monumento durante i secoli; queste,  del resto, sono documentate da una medaglia devozionale e da una moneta di età  moderna rinvenute recentemente nello scavo che qui si pubblicano (Pesante): il  fatto che entrambe siano legate in qualche modo al giubileo romano costituisce  un argomento decisivo per accertare che la tomba etrusca fu riadattata a un uso  del tutto nuovo, ed insolito, nel corso del Cinquecento.I  contributi della seconda parte del volume non sono direttamente legati alla  tomba di Grotte Scalina e alle sue origini etrusche, e tuttavia vanno letti in  confronto o in contrasto con i dati presentati nella prima parte. Il caso della  tomba Bartoccini illustra la diversità nonché, in definitiva, l’imprevedibilità  del riuso delle tombe etrusche nel Medioevo: in questo caso si tratta infatti  di un gruppo di templari della vicina Tarquinia (Curzi-Tedeschi). Tuttavia, la  riscoperta e il riuso si possono fare anche con un preciso intento filologico,  una vera e propria ‘musealizzazione’, quando gli Etruschi ridiventano, nel  corso del Cinquecento, oggetto di ricerca e di rivendicazione nazionale  (Labregère). La riscoperta che prende talvolta, nella seconda metà del XVI  secolo, la forma di una curiosa fissazione, come accade all’erudito e incisore  Francesco Tinti, che ha disseminato le sue medaglie nei siti etruschi e che  oggi affiorano regolarmente negli scavi archeologici realizzati in Toscana  (Cappuccini). Più in generale, l’archeologia rupestre, che vanta una lunga  tradizione nella Tuscia viterbese, consente di cogliere pienamente l’estrema  adattabilità dei luoghi etruschi a nuovi usi e nuove destinazioni, pratiche o  rituali (De Minicis). E però, a fronte di un tanto intenso fermento, che assume  forme che vanno da semplici reimpieghi a dotti studi archeologici, stupisce  l’indifferenza pressoché assoluta dei viaggiatori stranieri nel Viterbese in  età moderna nei confronti di un patrimonio ritenuto oggi assolutamente  eccezionale (Giosuè).
 Non tutte le molte domande  suggerite dal nostro tema sono state trattate, il lettore lo constaterà, in  modo organico e sistematico. Ma si tratta di fili che, in futuro, dovranno  essere intrecciati, ricomposti e integrati, e che dovranno essere pienamente  innestati sulla loro trama storica, in modo da consentirci di capire meglio,  grazie allo studio archeologico relativo a interventi medievali o moderni  troppo spesso trascurati, come l’eredità etrusca non abbia mai smesso, spesso  nascostamente, di innervare la storia medievale e moderna dell’Italia, e di  contribuire così alla costruzione del mondo nel quale viviamo oggi. 
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