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IN MEMORIA DI TE
Sarah Minciotti


Prefazione

Ora dobbiamo indossare abiti intessuti di cielo, ricamati di nubi e fiori di vento, vesti trapunte di stelle e raggi di luna per poter entrare nella dimora di un sogno…
Un sogno d’amore a cui Sarah ci invita con la sua dolce musica…
Dobbiamo lasciar volare lontano i nostri pensieri, le nostre povere certezze apparenti per poter entrare leggeri, su ali di seta impalpabile, nella dimora del cuore e festeggiare quel sogno d’amore fiorito sulla Terra in un tempo all’apparenza troppo breve, ma che perennemente sboccia nell’eternità della Realtà Vera.
Per festeggiare il miracolo di una madre che continua a vivere, a respirare, a camminare con passo di danza insieme a chi ha occhi per vederla e anima per amarla; continua a unire le sue dita con le nostre, a guidarci, a sussurrarci le sue dolci, uniche parole, perfino a farci sorridere e giocare…
Oltre le lacrime e il dolore, oltre la disperazione e l’angoscia, Sarah vuole invitare anche noi a questa festa di gratitudine e d’amore, alla sua carola di canti lievi e preziosi, luminosi di madreperla e di farfalle di sole, per una madre che è stata e rimarrà per sempre Primavera.

Il libro In memoria di te ci accompagna in un itinerario d’amore che inizia col dolore straziante dell’addio e ci immerge nella «fontana amara» del pianto (Né spazio né tempo), ci fa smarrire nell’«anomia della notte» (Nel principio), ci strazia con le «braci» che ardono l’anima e il corpo di Sarah, nella devastante condizione di «un’apolide abbandonata» dall’amore della madre (Desaparecido)…
Eppure anche in queste tenebre, anche in questi «androni stanchi della vita» (Accogli questi versi delicati), tra «le mura del cuore / così rigido e freddo» (Il mio pensiero verso te) permane un debole soffio di chiarore, un canto sommesso di «acque di speranza» (Un fiume in piena). Permangono «allusioni di celeste vago» (Armonie d’azzurro) tra i ricordi «intensi e crudi» della lacerata memoria (Il distacco da tutte le cose). E anche le «asperità» della vita vissuta insieme diventano «lucent[i]», perché tutto acquista un senso…
«Piacevole nuvola di fragole al ricordo / lo allenta e non singhiozza più. / Sono finiti i miei pianti fra le tue mani / di pura materna sostanza / fino alle mie viscere segrete» (Decalogo prezioso).
E incontriamo ancora la gioia di Sarah e della madre Amalia per la scoperta dei «fiorellini, candidi e tesi, sul prato verde», durante una passeggiata domenicale; sentiamo «la brezza della primavera», il profumo delle viole (I fiorellini), «il brulichio delle fronde e il cagnolino che gioca […]» (Le dolci speranze)…
Ci invade l’«allegrezza spassionata» di una madre coraggiosa e lieve che sapeva «ridere e farci ridere» (La macchietta); ci inonda la sua «lucentezza» di girasole (Il tuo girasole), l’albeggiare del suo «sorriso disarmante» (Intelligenza suprema), la «meraviglia suprema e infinita» dell’arcobaleno nel cielo dell’anima di una madre e una figlia che vivono la perenne aurora dell’amore (Un arcobaleno di colori).
«Non sono passate quelle ore / le ho tutte dentro me / come una perla sull’acqua / che galleggia sempre splendente / anche se le onde la sommuovono / con un impeto che non tramuta» (Le foto del passato).
Incontriamo tra i ricordi della lacerata memoria anche l’incanto della musica: «Cantavi d’amore per tutto / per me, per noi, per il cielo» (Cantavi d’amore)… La musica, più che una passione una dimensione dell’anima, la stessa anima in due persone apparentemente distinte, Amalia e Sarah. «Della Musica e i suoi segni / noi siamo figlie / cangevoli armonie del fato» (Il nostro testamento). «La nostra dimensione interiore era la musica, / è la musica. / Tanti concerti insieme incisi nell’anima, / di noi due legate dalla Musica. […] La musica la tua musica non tramonterà, / nemmeno al finire dei giorni» (La musica la tua musica).
Dolci, carezzevoli, travolgenti sinfonie che lentamente ci fanno librare in un sicuro abbraccio di cielo: «Madre mia bella, / come ti sento cantare / nel vuoto dell’ancestrale universo, / e incantare il destino dei giorni… / Quella voce tua soave / è invasa in ogni angolo di cielo, / quasi a spezzarne i confini. / Ma così è la musica, come te, / priva di ogni limite…» (Il nostro testamento).
E poi, la vertigine, l’ebbrezza del volo nel Regno della certa fides, dove il grido lacerante dell’assenza diventa iridescente lacrima d’amore e stupore d’estasi.
In un «perlato firmamento di angeliche danzelle / nell’estasi della fioritura», Amalia «ora si affaccia librandosi dal cielo» (Quando risorgerai), eterna corolla di luce: «azalea il tuo nome fiorito / sui miei occhi di conchiglia» (Evochi in me). È «la più bella imperlata donna / tra le donne» (Quando risorgerai), «meridiano volto di perla / e pace che si incammina verso me» (Evochi in me). Ora è lei stessa Musica, ineffabile danza «nei pianeti della Bellezza / dove l’eterno movimento non ha fine» (Angeli puri)…
È la Musica dell’«Amor che move il sole e l’altre stelle» nell’«immenso dell’immenso che non ha spazio» (Il cielo soffuso), in un infinito così lontano eppure così vicino, nell’anima di Sarah e di tutti coloro che sanno amare.
«E tu che hai vibrato abbandono / al mio dolore nascosto/ stenderai i petali che mi hai promesso, / fra le stelle e i giardini, / fra il tuo Azzurro e il mio fiore, / per non perderci più…» (E tu mi sfiori). «Sento i suoi profumi arrivare/ nell’estate del primo pianto, / di sfuggita negli albeggi del meriggio / atteso attraverso un luccichio diafano. / Vola una farfalla ed è lei che è tornata, / spengo la luce prima di dormire / e la giornata si riposa / nei segni del tempo» (I segni del tempo).
Non c’è confine che l’Amore non possa valicare, non c’è limite che la Musica non possa dissolvere nell’estasi di un abbraccio di Luce.
«Con i tuoi occhi immersa nell’amore / so che non c’è lontananza. / Ti ritrovo ovunque sei, /ovunque vada non mi abbandoni, / in ogni momento c’è la tua presenza. / Timide mani per comporre le note dell’assolo, / non sarò mai sola con la tua musica, / l’armonia dei tuoi sospiri…» (Lo sguardo della lontananza). «Coronata stella che mi vegli di notte, /come ti sento senza parole / che possano descrivere questa esplosione di gioia/ nell’estremo sospiro della sera, / tra il firmamento e il tormento addormentato. / La pace tu sei » (Più di una madre).

I versi di Sarah sono sinestesie in cui si sciolgono colori, profumi, tepori di dita impalpabili e, soprattutto, ali di musica. Il suo lessico è una creazione personale dove spiccano talvolta, nel contesto di un registro comunque medio-alto, preziosismi tratti dalla nostra tradizione letteraria (es. «lene» in Attimi di un dono immenso, «aura» in Passi nella notte, «infantil lena» in Titty, «fatal» in Notte fonda, «speme» in Tutte le notti, in Lo sguardo della lontananza e in Indaco amore, «avo» in Il quadro del perdono, «cangiare» in Un arcobaleno di colori, «cangevole» in Tempesta di neve, «meriggio» in I segni del tempo...), uniti ad arditezze di sua invenzione, frutto di una originale ispirazione e delle sue particolari sonorità interiori: «cruno» in Un fiume in piena, «incrunata» in Come una scultura del tempo, «affatata» in Il nostro concerto, «allunari» in Occhi d’infinito, «danzelle» in Quando risorgerai…
Soffermiamoci un momento proprio su quest’ultima parola, «danzelle», un connubio tra danza e donzelle che richiama immagini di levità e trasparenze di cielo, mentre «cruno» è un aggettivo sicuramente tratto dalla stretta cruna dell’ago, che con una forte cacofonia e una potente immagine claustrofobica ci chiude nell’atmosfera irrespirabile di una morsa di indicibile dolore.
Arditi sono, nei versi di Sarah, anche gli accostamenti imprevedibili di parole, virtuosismi dell’anima che anela ad esplorare con le metafore e le analogie dello Stupore la Realtà dell’Oltre al di là di ogni barriera di logica, di sintassi, di comoda ovvietà. «Un manicomio di parole non può cancellare la vita» (È venuto il mattino); «Ma nuove funivie di sogni / partiranno per salire il monte / della nuova carne che risorgerà…» (Trasmigrazione terrestre); «Si aprono i sipari in cui si terge / l’ultima lacrima del mio giardino» (Dove appassisce il cielo); «Triste mia bellezza / nel fuoco grigio di un eremo stanco» (Triste mia bellezza); «Vengo a te in cima al tutto, / così posso toccare l’eterno / di un frammento tuo» (Nei sogni il tuo amore); «Ammansirò un altro fiore, / nello specchio di un lago nuovo» (Il quadro del perdono); «Quando incontravamo l’arcobaleno / era questo / il quadro d’immenso candore / e l’anello d’amore che ci univa. / Io li porto dentro me / postille di crisalidi ammantate / che s’innalzano nel cangiare e mutare, / fluorescenze di prismi balbettanti» (Un arcobaleno di colori); «Viaggerai con quel colore/ che m’intesserà il dipinto dell’eterno / e la mia dannazione sparirà» (Indaco amore).
Le poesie di In memoria di te sono, in fondo, un unico canto, una trapunta di suoni d’anima tempestata di allitterazioni, rime, assonanze, consonanze, omoteleuti…
A volte Sarah si cimenta anche in composizioni che riecheggiano i ritmi della nostra antica tradizione popolare, in seguito assurta a dignità letteraria, con l’uso di endecasillabi, rime alterne e/o assonanze (Affacciati mia bella, Portami via con te, Filastrocca per la mamma).
Vesti di cui si ammanta la musica che vive dentro di lei, la musica che è la sua vita e la sua eterna, infinita preghiera d’Amore. (Maria Letizia Giontella)