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TRAMONTI DI SOGNI E ALBE DI REALTÀ
Francesco Mancuso


Prefazione

So di non essere una poetessa. So che scrivo poesie. Forse sono una poetessa d’istanti.
Quando incontro Emily Dickinson…non sapendo quando l’alba possa venire/lascio aperta ogni porta,/che abbia ali come un uccello/oppure onde, come spiaggia… la vedo mentre scruta, dentro la stanza tutta per sé in cui ha vissuto, il suo animo interrogandosi sui temi della natura, dell’amore e della morte filtrate da una profonda angoscia esistenziale espressa poeticamente e con una leggerezza apotroide, in lei la poesia si fa vita, attorno a lei si dipana la guerra di Secessione, morte e sangue!
Quando incontro Anna Achmatova… ho smesso di sorridere/le labbra sono gelate/a una sola speranza/segue più di una canzone./Senza colpa cederò il canto/al riso e alla profanazione/che al colmo del dolore/per l’anima è il silenzio/dell’amore… rivivo le stagioni di speranza e di morte che animarono la sua vita nel paese della Rivoluzione, amava Dante e Leopardi, cinguettò canti lirici con Modigliani… passai diciassette mesi in fila davanti alle carceri di Leningrado, un giorno una donna dalle labbra livide che mai avevo visto e che non sapeva chi fossi, mi chiese: “Ma questo orrore lei può descriverlo?” E io le risposi “Posso!” Allora una specie di sorriso scivolò lungo quello che un tempo era stato il suo volto..
Quando incontro Wislawa Szymborska cielo/finestra senza parapetto/senza intelaiature/ senza vetri/un’apertura e nulla oltre /solo amplitudine... so di immergermi in una vita poetica che riesce a narrarmi dell’unica possibilità che l’umanità ha, o una delle poche, per salvarsi dall’universale naufragio, in lei sento vibrare parole che provengono da un mondo a me parallelo che riesce a donarmi risonanze segrete.
Quando incontro Alda Merini…Ho bisogno di sentimenti/di parole, di parole scelte sapientemente/di fiori detti pensieri/di rose dette presenze/di sogni che abitino gli alberi/di canzoni che facciano danzare le statue/di stelle che mormorino all’ orecchio degli amanti./Ho bisogno di poesia… sono conquistato dalla fierezza del suo essere autenticamente unica che le consente non solo di salvaguardare la propria umanità, ma soprattutto di non consentire al dolore di smarrire quell’universo di amore e di sensibilità che la abita.
Amo gli haiku, stringhe di universo, amo le ballate di Spoon River stranianti e vigorose, amo le terzine binarie del Sommo, insomma, amo la poesia ma non sempre la comprendo. Io sono vissuta inseguendo affannosamente una rotta spiralometrica con la stella polare a tracciarla, qualche volta smarrendola alla vista ed è in quegli istanti che sgorga la poetessa che è in me, sono curiosa, cerco l’ignoto, l’inconosciuto… considerate la vostra semenza/fatti non foste a viver come bruti/ma per seguir virtute e conoscenza…capita così che a volte smarrisca la diritta via ed è qui che sgorgano in me, non cercate, non richieste, nuove parole, nuovi lemmi per rappresentare l’incerto che incontro: istanti! Ne ho bisogno per vivere, accompagnata dal sapere che la morte mi attende, so che ogni istante che passa mi avvicina a Lei, da tempo immemore sono impegnata con la sua ombra in una lunga partita a scacchi dove la posta non è chi farà scacco matto, lo farà lei, ma quanto posso resisterle, così sono diventata maestra di arrocchi e di sortite imprevedibili con il mio cavallo lanciato in gualdane stramicciose, resisto, prendo tempo, a volte provo anche a sorriderle per provare a intenerirla ma lei è lì, immutabile nei tempi, salda nel suo mestiere, a chiedere senza resa il conto finale. Quegli istanti sono la mia eternità. E so che riammagliare in una narrazione quegli istanti è, qui e ora, un fare che riesce, a volte, a spiazzare la Dama Nera! Ho impiegato il tempo di un battito d’ala per riordinare le poesie che questa forse poetessa d’istanti ha scritto nella sua vita, ho cercato anche di ricordare gli eventi che hanno permesso a loro di venire alla luce, non di tutte ovviamente, alcune sono solo smottamenti carsici così improvvisi che la memoria non sa, o non vuole, riannodarli, va bene così! Solo una cosa voglio aggiungere per cercare di raccontare quegli istanti: loro non arrivano mai né improvvisi né imprevisti, sono moti dell’anima che precedono il tempo visibile del mio viaggio, quello dove la stella polare brilla alta nel cielo blu, ma sempre accompagnata dagli scavi sotterranei delle mie tre talpe, la buona, la cattiva e la segreta, poi c’è un momento in cui, con tutta la loro cecità, quella che sola può cercare di dipanare lo gnommero della vita, emergono in superficie, per un istante hanno bisogno di luce, di vicinanza, d’amore e cantano poeticamente il loro affacciarsi all’ignoto. È quello il momento della poetessa che vive in me! E solo quello! Credo sia giunto il momento di dire come sia accaduto che mi chiami Francesco pur essendo nata Lena. All’inizio fu il buio e non mi chiamavo Francesco. Mi chiamavo Lena e m’ hanno fatta uscire dal letto d’acqua in cui mi sono trovata a nuotare il 14 aprile del 1943, attorno a mezzanotte. La prima volta che ho incontrato il mio nome è stato molto prima che mi facessero uscire dal morbido letto d’acqua in cui ho nuotato per un po’ di tempo. Ero lì, in posizione schisa, la mia preferita, succhiavo avidamente energia dentro il piccolo lago amniotico in cui mi sono trovata imprevedibilmente a nuotare, nessuno mi aveva mai chiesto se volevo esistere, quando mi sentii invasa dal mio nome. Quel giorno sentii improvvisamente le acque in cui nuotavo agitarsi, un vero maremoto, presi a compiere rotazioni imprevedibili, sbattei sulle pareti della stanza tutta per me, rimasi un po’ a testa in giù guardando i miei piedini in formazione da giù in su invece che da su in giù, fui subito attenta a quelle piccole variazioni di stile, insieme mi arrivarono suoni aspri, rantolii, rancori, paure di voci in fuga, fischiavano le sirene che annunciavano un nuovo bombardamento a Roma e giù, di corsa, in cantina, piccolo rifugio dell’anima a difesa dell’orrore della minaccia amica che veniva dal cielo, tutti stipati giù, a pregare Dio che non toccasse a noi, mentre i piloti, che sganciavano bombe, pregavano Dio perché i lanci raggiungessero proprio noi, non ci conoscevano, ma eravamo nello spazio dei loro obiettivi di distruzione. Giorgio proteggeva Maria e il suo pancione danzante mentre correva verso il rifugio, chissà se Giorgio sapeva che la sua Lena era già pronta a stupirsi degli eventi che le accadevano imprevedibilmente attorno, acquattata nel posto più sicuro del rifugio conquistato grazie al pancione di Maria. Fu lì, piccolo batuffolo di vita, che sentii per la prima volta di dovermi chiamare Lena, furono bisbigli e sussurri quelli che fluttuarono nelle acque fino a me. Fino ad allora i suoni, i rumori dell’altro mondo, arrivavano come piccoli soffi, refoli di vita, che increspavano le acque attorno a me, dandomi sensazioni che cominciai già a catalogare, scrivendo così l’inizio della mia grammatica interiore. Quel giorno, nel rifugio, sentii arrivare improvvisamente un parlottio che creò correnti maligne nelle acque del mio placido lago, i grandi stavano facendo il famoso giuoco del nome, a cui tutti sentirono di dover partecipare. Una voce maschile, accompagnata da una risata stridula, propose “Bombino”, poi arrivò Adolfo, Joseph, Benito, Palmiro, e sentii che quei nomi provocavano liti che formavano correnti gelide nelle mie povere acque offese, e poi Francesco, mio nonno, Paolo, Antonio, Giuseppe, a nessuno venne in mente che potevo non essere maschio, poi arrivò da dentro un maelstrom potente, inarrestabile, denso, che mi colpì senza resa, Maria voleva una femmina e la chiamò Lena, una parte del mio destino si compiva già nella pancia di mia madre, in una notte di guerra, in una cantina chiamata rifugio, per un desiderio che risiedeva in regioni segrete dell’anima di Maria, io ero lì, non avevo chiesto nulla a nessuno e mi toccò sentire gli stridori delle sirene, i sibili dei lanci, i boati delle bombe, il giuoco del nome e seppi che mi sarei chiamata Lena. Ci fu un altro momento della mia vita acquatica che ricordo nitidamente, ero lì che mi lasciavo cullare dalle acque quando arrivò, improvvisa, una tempesta, mi sentii sbattuta qua e là sulle pareti del lago, sentivo Giorgio urlare e Maria piangere, piansi anch’io che amavo, per qualche ragione a me ancora incomprensibile, Maria più di me stessa, agitai disperatamente i moncherini delle mie manine in formazione, tracce di pugni che volevano difendere mia madre, Maria passò dal pianto al singhiozzo disperato e io fu presa dal terrore, nel mentre catalogavo, con precisione chirurgica, quelle pulsioni che producevano scosse nel mio corpo in formazione, non mi chiamavo ancora Lena, non avevo ancora quella parvenza di identità, di conoscenza di me che poteva aiutarmi a non affogare nelle acque in cui nuotavo, ma sapevo che Maria stava subendo una prepotenza. Il mio amore per lei era totale, capace di sfigurare ogni contorno, di cancellare sbaffi e sgorbi, avevo già imparato che in quei momenti occorreva assumere decisioni irrevocabili, senza dubbi, senza incertezze, sentii Maria sprofondare in un dolore insopportabile che strinse in una morsa il mio piccolo cuore appena strombettante, fu così che scrissi nella mia grammatica il segno e la forza della prepotenza, la fatica della reazione, lo spessore tragico del dolore, tutto accadde quando non mi chiamavo ancora Lena, chissà che avrei fatto se mi fossi già chiamata Lena. Era notte fonda quando, non si sa chi, decise che dovevo uscire dal mio placido lago amniotico, non cacciai un solo urlo, non versai una sola lacrima, stupita guardai le forbici che rompevano il mio legame profondo con mia madre, la guardai incuriosita, Maria era stremata, pallida, con gli occhi lucidi di gioia e del dolore leopardiano che portava sempre con sé, poi cacciai uno strillo potente, avevo fame e avevo già imparato, nel formarsi antico della mia grammatica interiore, che bisognava chiedere con forza per ottenere. La forza delle donne che Francesco ha dentro sé, sigillo della mia vita.

 

Indice

Prefazione

A mia madre Maria
A Maria mia nipote
A Guido
La riunione
L’ ombra
La mia nausea
Solitudine
Dolore del nulla
E il cerchio non si chiude
Il mare 1
Il mare 2
Il mare 3
Le cento strade
La mia casa
La terra 1
La terra 2
Il fiume
Felicità
Interludio in prosa
La mia memoria
Lo specchio
Il coro dei miei sentimenti 1
Il coro dei miei sentimenti 2
I quattro elementi della vita
Interludio in prosa
La magia dei fiori
In una tenera notte d’inverno
Lettera a Emiliano (26 settembre 2018, Emiliano ci lascia)
Trent’anni insieme/soli
Conbristola
Un dolore antico
Crudeltà
Distacco
Il castello
Le onde della mia memoria
Zanne d’amore
Cantico d’ amore
Scritta in estasi durante il concerto, Parigi, abbazia di Saint Severin - Oratorio di Noel – Bach.
Quel giorno del 1989 cadde il muro di Berlino
Quel giorno dell’ 11 settembre, due aerei a demolire due grattaciali e migliaia di vite
L’inganno
Cantico di una crisi
La lacrima
Interludio in prosa
La pettirossa
Francesco ispirato da Alda Merini
Francesco, “rubando” parole di poesia a Madre Teresa di Calcutta
Francesco, “rubando” parole a Khalil Gibrain
Haiku Francesco
La guerra in Ucraina
A chi ha voglia ancora di pensare!

Ringraziamenti