Davide Ghaleb Editore


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NEL NOME DI DIO E DEL POPOLO
Mara Lotti

Perché tornare con un altro Quaderno sull’argomento risorgimentale in Ischia di Castro? Il primo della Collana, Terra e Unità. Il Risorgimento in Ischia di Castro, evidenziò i fatti che videro coinvolto il paese e la sua popolazione, ma al di là degli eventi, insurrezioni e dei fatti d’arme questo nuovo quaderno vuole cercare di dare uno spessore al retroscena politico di quegli accadimenti, ed ai loro esiti spesso celati dietro intenzioni e azioni di cui possono esserne svelati i significati ideologici soltanto attraverso un approccio critico.
A metà Ottocento le coscienze ischiane erano divise tra filorepubblicani e “barbacani” papalini; i secondi in netta minoranza stando ai fatti: se fossero stati demograficamente più rilevanti avrebbero avuto la forza di contrastare allo scoperto i vari moti risorgimentali che si verificarono nel paese e le iniziative filogaribaldine, anche se le fonti ecclesiastiche e della polizia pontificia tesero sempre a sottolineare l’esiguità numerica del pensiero opposto; ma le migliaia di individui nella provincia che furono schedati, per pensiero o per azioni, sono l’evidenza ed i portavoce di quale fosse il sentimento generale di allora. L’azione controrisorgimentale invece si limitò a manifestazioni reazionarie clericali, a delazioni anonime e nell’ostacolare blandamente l’intraprendenza progressista. Si trattò di una lotta intestina tra la classe dirigente e notabile del paese, nella quale anche il clero si schierò da una parte e dall’altra. La massa popolare, toccata dall’eco degli eventi esterni e dalle promesse di un futuro migliore, non si pose troppi dubbi su chi appoggiare; tanto che al passaggio delle truppe volontarie del Maggiore Righetti assaltò il magazzino della Camera Apostolica, si riprese il grano del mezzo terratico appena pagato e lo offrì come contributo degli ischiani per la causa italiana. Un grano già tolto loro, ma quantomeno scelsero a chi destinarlo. Alcuni paesani imbracciarono i loro fucili e spararono alla Chiusa Egisti-Pellei assieme ai “diavoli rossi” toscani, altri si misero in colonna con essi per assaltare la Dogana del Voltone; di contro nessun barbacane ischiano mosse un dito per aiutare le guardie pontificie o gli zuavi. Dai carteggi si conoscono nomi e cognomi dei  sovversivi in quanto schedati, compromessi, ricercati o emigrati politici mentre dei papalini non vi sono che poche tracce d’identità poiché qualsiasi azione coadiuvante il potere era ritenuta mero dovere e prassi.
Ogni volta dopo i vari moti sedati la repressione e la censura pontificia fecero sviluppare un singolare modo di veicolare e ribadire la volontà e gli ideali democratici da parte delle personalità ischiane ad essi legati. Si capì, forse tramite sensibilità colte esterne ma intrinseche al paese, che vi era un indiretto linguaggio da poter usare; un’espressività metaforica comprensibile ai dotti quanto alla massa popolare cui si rivolgeva particolarmente: l’antico linguaggio visivo e devozionale. Anche alle nostre élite iniziavano ad esser note le opere degli artisti risorgimentali con i messaggi che queste diffondevano. Personalità ischiane intrattenevano rapporti con artisti romani che a loro volta frequentavano il panorama romantico italiano, bandito però nello Stato Pontificio di Pio IX. Così vennero usate le icone più care alla popolazione locale per poter parlare di politica in un momento in cui ciò non era consentito. I temi della tradizione religiosa e della storia castrense erano largamente impressi nella cultura popolare e si intuì che solo attraverso questa conoscenza condivisa si poteva arrivare a toccare i cuori e la coscienza della gente. Si evidenziò l’amore, la sincera devozione per queste immagini sacre e farne portatrici di messaggi metaforici di stampo liberale, se non repubblicano, attraverso un’interpretazione storico-iconografica per affermare il motto risorgimentale “Dio e Popolo” nonché la volontà di uno Stato laico. La storia locale, specialmente il Medioevo, venne riproposta da quest’élite borghese in chiavi alternative rispetto agli insegnamenti su cui l’educazione seminaristica aveva forgiato gli eruditi paesani. Fu sentita come una necessità identitaria e legittimante per “...comunicare in maniera più immediata idee e sentimenti coinvolgenti il presente...attraverso il ricorso ad una metafora storicistica”. Un analfabeta ischiano non avrebbe potuto da sé comprendere la colta allegoria di una Meditazione sulla storia d’Italia di Hayez, ma avrebbe ben inteso un commento critico attualizzante di quella storia e di quella religiosità locali che conosceva fin dalla nascita in quanto natio di questi luoghi.
La politica e la demagogia hanno sempre sfruttato, appropriandosene, l’immaginario collettivo dell’iconografia, dell’agiografia o di determinate vicende storiche quali exempla; una pratica  collaudata per far presa nelle coscienze. Il caso nazionale più eclatante fu quello del miracolo di San Gennaro dopo la presa di Napoli da parte dei volontari garibaldini: lo scioglimento del sangue del patrono tardava ad arrivare, e la popolazione napoletana cominciava a dubitare sull’approvazione del Santo al nuovo governo; per cui Padre Alessandro Gavazzi, cappellano di Garibaldi, minacciò il vescovo di Napoli per far affrettare il miracolo, che accadde quell’anno soltanto alla giunta notizia della concessione all’entrata in parlamento di una componente partenopea. San Gennaro fece il miracolo e Napoli lo accolse come la benedizione del patrono al dittatore Garibaldi. 
In questo quaderno si intende togliere le cosiddette “etichette”, ovvero quell’inquadramento statico e semplicistico che troppo spesso viene apposto addosso a fatti, luoghi, immagini e persone che altrimenti appaiono del tutto bianchi o del tutto neri, mentre invece ad un’analisi contestualizzata risultano alquanto più colorati e dinamici. Le vicende ed i personaggi esaminati prescindono dai trinomi convenzionalmente consueti di repubblicano-ateo-anticlericale oppure prete-bigotto-papalino. In questo Risorgimento “nostrano” ci si trova davanti ad una volontà democratica di uno stato laico in uomini saldamente ancorati alla fede e alle sue tradizioni identitarie; gente che tiene alla Fede, ai propri Santi e relativi riti come alla propria terra, al proprio campanile, alla propria Nazione, e sacerdoti che propongono il messaggio di Cristo quale più alta espressione delle libertà e dei doveri civili. Già nella Repubblica Cisalpina si levò un grido antidicotomico tra cattolicesimo e repubblicanesimo: quello dell’allora Card. Barnaba Chiaramonti di Imola, futuro Pio VII, che nel Natale del 1797 si rivolgeva alla sua diocesi ribadendo che un governo democratico non ripugna il Vangelo; esige anzi a tutte quelle sublimi virtù “...che non s’imparano che alla scuola di Gesù Cristo”. Da non sorvolare poi, come un caso a sé stante, la vicina realtà comunitaria e religiosa amiatina di Davide Lazzaretti che ebbe eco anche al di qua del confine. E da ricordare l’occasione in cui nel 1848 i cittadini di Viterbo insorsero e liberarono dall’arresto Padre Alessandro Gavazzi, barnabita compagno di Don Ugo Bassi e Garibaldi, il cui convoglio carcerario lo stava portando nelle prigioni di Corneto.   
Il Quaderno si snoda attraverso un percorso dapprima introduttivo al clima castrense in cui nacquero le allegorie storicistiche politico-devozionali che verranno prese in esame, paragonandole ad antefatti dell’agiografia popolare ischiana, per poi andare nei capitoli specifici ad inquadrare i personaggi ed il relativo contesto politico che ci hanno lasciato la versione risorgimentale di due tra le più sentite santità locali: la Madonna del Giglio di Luigi Cochetti e la costruzione del Santuario del SS. Crocifisso di Castro.
Il ricordo di parole che descrissero una semi guerra civile, e di arte ed architettura sacra recanti espressività liberale-democratica, seppur ben affiorante dalle documentazioni, fu rimosso nel corso di centocinquant’anni di storia unitaria lasciando però dietro di sé una rinnovata e vasta devozione identitaria. Non è affatto un discorso iconoclastico in quanto reputo che alla vigilia dei 150 anni di Roma capitale, a mio personale avviso il vero centocinquantenario dell’Unità d’Italia, all’indomani del settantenario della Costituzione della nostra Repubblica, e dopo un processo storico-culturale che nelle generazioni ha metabolizzato gli eventi risorgimentali, sia giunta l’ora opportuna per  affrontare un tema così delicato e trattare nello stesso contesto il sacro e il profano di una terra che per oltre mille anni è stata retta da un governo teocratico.

Maura Lotti, Ischia di Castro, 4 ottobre 2017 

Indice

Introduzione
- Le aspirazioni religiose e repubblicane del nostro Risorgimento
- Appendici.
Testimonianze di fatti, umori e opinioni
- Antefatti. Sant’Ermete protagonista delle leggende della storia ischiana
- Risorgimento e devozione popolare. La Madonna del Giglio di Luigi Cochetti e l’affresco al Santuario
- Il SS. Crocifisso di Castro ed il Santuario della fede e della volontà popolare
- Appendici.
La Commissione e la Deputazione per il Santuario del SS. Crocifisso di Castro